Cass. Sez. un., 10 aprile 2025 (dep. 28 luglio 2025), n. 27515, Pres. Cassano, est. Andreazza
1. A distanza di cinque anni dall'esplosione della pandemia da Sars-Cov-2, la questione delle responsabilità per le omissioni colpose nella gestione della crisi sanitaria torna di attualità con un importante pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione che ammette la configurabilità del delitto di epidemia colposa anche in forma omissiva.
Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione ha inteso risolvere sul nascere il potenziale contrasto giurisprudenziale sul tema, discostandosi tuttavia dagli unici due precedenti della stessa Corte e dal prevalente orientamento della giurisprudenza di merito, che negavano l'operatività della "clausola di equivalenza" di cui all'art. 40, comma 2, c.p. in relazione all'epidemia colposa, sulla premessa che tale reato, per come descritto dagli artt. agli artt. 438 e 452 c.p. («chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni…») presenta la struttura di un illecito a forma vincolata.
Le Sezioni Unite hanno invece ritenuto che l'epidemia colposa sia un reato causalmente orientato a forma libera e, come tale, suscettibile di conversione nella corrispondente fattispecie omissiva.
2. Prima di addentrarci nel cuore della questione ermeneutica, occorre ripercorrere brevemente la vicenda giudiziaria da cui origina la decisione e che ha riguardato la diffusione del virus Covid-19 all'interno dell'Ospedale civile di Alghero, tra il marzo e aprile 2019, a causa della negligente condotta tenuta da un dirigente sanitario. Quest'ultimo, infatti, pur essendo delegato del datore di lavoro, non aveva fornito ai lavoratori del nosocomio i necessari dispositivi di protezione individuale, non aveva assicurato loro una formazione sufficiente e adeguata al rischio epidemiologico e aveva omesso di adottare misure collettive e individuali per impedire la diffusione del virus.
Con sentenza del 28 marzo 2024, il Tribunale di Sassari ha tuttavia assolto l'imputato perché il fatto non sussiste, atteso che il delitto di epidemia colposa di cui agli artt. 438 e 452 c.p. presenta la struttura di un illecito a forma vincolata (che può essere integrato solo dalla condotta commissiva tipizzata dal legislatore, consistente nella «diffusione di germi patogeni»), quindi incompatibile con il disposto di cui all'art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente ai reati a forma libera.
Avverso la sentenza assolutoria, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari ha proposto ricorso per saltum dinanzi alla Cassazione, contestando sia che l'epidemia colposa abbia natura di reato a forma vincolata, sia che la "clausola di equivalenza" tra non impedire e cagionare, di cui all'art. 40 cpv c.p. possa operare solamente in relazione ai reati a forma libera.
3. La quarta sezione penale della Cassazione, investita del ricorso, ha ravvisato un potenziale contrasto in senso alla giurisprudenza di legittimità circa la compatibilità del delitto in esame con la forma omissiva e, facendo proprie le argomentazioni della Procura, con ordinanza del 19 settembre 2024[1] ha richiesto l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, rimettendo loro la questione interpretativa «se il delitto di epidemia colposa possa essere integrato anche da una condotta omissiva».
Il rimettente ha evidenziato che nella giurisprudenza della Suprema Corte solo due pronunce – entrambe della quarta sezione penale – si sono occupate direttamente del reato in esame nella forma omissiva, giungendo tuttavia a escluderne la configurabilità.
In particolare, prima la sentenza "Giacomelli" del 2017[2] (riguardante l'addebito mosso al dirigente di una società preposta alla gestione di un acquedotto comunale per avere determinato l'insorgenza di un'epidemia nella popolazione, a causa degli effetti del consumo di acqua pericolosa per la salute) e successivamente, in piena pandemia Covid-19, la sentenza "La Rosa" del 2020[3] (intervenuta in relazione a un caso di diffusione del virus in una casa di riposo), seguendo il medesimo sillogismo argomentativo, hanno sostenuto che la responsabilità per il reato di epidemia colposa non è configurabile a titolo di omissione, in quanto l'art. 438 c.p., con il sintagma «mediante la diffusione di germi patogeni», richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell'art. 40 cpv c.p., che si riferisce esclusivamente alle fattispecie a forma libera.
Sul versante opposto, la Sezione rimettente segnala un arresto del 2019[4] in materia di diffusione del virus HIV che, pur non occupandosi del reato di epidemia, in un obiter dictum sembra aprire alla possibilità di considerarlo alla stregua di un reato a forma libera, laddove sostiene che la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti, dato che non individua in che modo debba avvenire la diffusione dei germi patogeni e potendo tale diffusione avvenire in varie forme (per contatto o via area o attraverso superfici o altri vettori o per liberazione di animali infetti o per scarico di rifiuti in acqua ecc.).
4. Così ricostruiti i precedenti giurisprudenziali rilevanti, i giudici della Quarta Sezione hanno proposto alle Sezioni Unite di superare l'orientamento negativo incarnato dalle sentenze "Giacomelli" e "La Rosa", in favore di un’interpretazione più ampia, che ammetta la realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva.
A tal fine, il rimettente sostiene anzitutto che il dato letterale non sia ostativo a una ricostruzione della tipicità aperta anche alla forma omissiva, in quanto il verbo “diffondere”, impiegato dall'art. 438 c.p., ha un significato sufficientemente esteso da ricomprendere anche il "lasciare che altri diffonda".
Ad avviso del collegio, inoltre, non si dovrebbe trascurare il mutato contesto storico e sociale, rispetto a quello presente al varo della norma, introdotta dal legislatore del 1930 in considerazione della «enorme importanza che [aveva] ormai acquistato la possibilità di venire in possesso di germi, capaci di cagionare un'epidemia, e di diffonderli»[5], come si legge nella Relazione al codice penale, senza invece mostrare riguardo alla possibilità che la negligente gestione del rischio sanitario possa costituire fattore scatenante di un'epidemia.
Ancora, i giudici della quarta sezione ritengono che l'art. 438 c.p. non descriva un reato "a forma vincolata" bensì un reato "a mezzo vincolato", atteso che l’espressione «mediante diffusione di germi patogeni» non rappresenterebbe un connotato della condotta, bensì del mezzo attraverso cui si verifica l’evento. Del resto, la configurazione del reato di epidemia come casualmente orientato a forma libera appare del tutto coerente con il rango elevato dei beni giuridici tutelati, ossia la salute e l’incolumità collettiva, che richiede una tutela giuridica particolarmente intensa.
Infine, anche a voler escludere che il reato in esame sia a forma libera, il rimettente appare propenso a confutare la pretesa incompatibilità della formula di equivalenza di cui all'art. 40 cpv c.p. rispetto ai reati a forma vincolata. A tal proposito richiama la giurisprudenza in tema di truffa contrattuale che ha qualificato in termini di “raggiro” il silenzio maliziosamente serbato dal contraente[6] e che dunque sembra ammettere la configurabilità di una truffa integrata da condotte omissive.
5. Come anticipato, le Sezioni Unite della Cassazione hanno dato risposta affermativa al quesito sottopostogli dalla quarta sezione, seguendo tuttavia un percorso interpretativo in parte diverso.
La Cassazione, anzitutto, ritiene opportuno precisare che dalla sua adesione alla tesi della configurabilità del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva non potrà scaturire l'evocazione dell'overruling in malam partem, fenomeno che richiede l'esistenza di un pregresso indirizzo giurisprudenziale significativo (o, meglio, di un pronunciamento delle Sezioni Unite) che non lasci dubbi di sorta al destinatario del precetto circa le conseguenze, penali o meno, della propria azione. Nel caso di specie, invero, il panorama giurisprudenziale di legittimità ha visto ben pochi arresti che si sono occupati, anche solo indirettamente, del delitto di epidemia colposa in forma omissiva, segno di «una non compiuta "matabolizzazione" dei postulati che la risoluzione della questione deve invece necessariamente richiedere e dell'assenza di un quadro sufficientemente stabilizzato».
Ciò premesso, la Corte prende le mosse dal dato normativo dell'art. 438 c.p., che prevede come reato il cagionare un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, evidenziando che la norma in realtà non richiede che tale diffusione debba avvenire per effetto di "spargimento" dei germi. Questa interpretazione, indebitamente selettiva del concetto di "diffusione", è frutto dell'eccessiva valorizzazione dei lavori preparatori al codice Rocco, laddove l'introduzione del nuovo delitto si giustificava in considerazione del gravissimo pericolo rappresentato dalla possibilità che taluno acquisisca e diffonda germi patogeni verso un numero indeterminato di vittime potenziali. Sul punto la Corte chiarisce che i lavori preparatori non possono costituire un "vincolo esegetico" per l'interprete, poiché altrimenti si finirebbe per attribuire loro un'atipica funzione di interpretazione autentica.
L'argomento teleologico non appare quindi decisivo e neppure lo è l'ulteriore argomento, talora valorizzato in dottrina, secondo cui l'impossibilità di assimilare il concetto di "diffusione" a quello di "contagio" deriva dalla distinzione effettuata dallo stesso legislatore del 1930, che sulla nozione di contagio aveva fondato delle apposite previsioni di reato (come l'art. 544 c.p., rubricato "contagio di sifilide e blenorragia"), poi abrogate. Invero, nella nozione di diffusione di germi patogeni può ben rientrare anche il concetto di diffusione per contagio, trattandosi di due nozioni poste tra loro in rapporto di specialità per specificazione. Lo dimostra la stessa legislazione emergenziale dell'era Covid, che in relazione alla condotta di chi, risultato positivo al virus, violava l'obbligo di confinamento nella propria abitazione, prospettava la configurabilità anche del reato di epidemia colposa (art. 2, comma 2, d.l. 16 maggio 2020, n. 33). Peraltro, se per "diffusione" la norma facesse esclusivo riferimento al comportamento di chi sia in possesso di germi e li sparge, si finirebbe per rendere l'epidemia un reato proprio o comunque a soggettività ristretta (giacché punirebbe solo il detentore o possessore del germe), a dispetto della natura certamente comune del reato, evidenziata dall'incipit «chiunque».
6. Sgomberato il campo dall'argomento teleologico e da quello che esclude la possibilità di ricondurre il concetto di contagio a quello di diffusione, la Cassazione affronta l'unica questione davvero dirimente: la forma vincolata o causalmente orientata del reato di epidemia.
Secondo la Corte, la lettura più corretta dell'art. 438 c.p., che valorizzi l'immediata consecuzione tra soggetto, verbo e oggetto, è quella che vede nel "cagionare" la condotta penalmente rilevante, nell'"epidemia" l'evento del reato e nella "diffusione di germi patogeni" (sintagma che segue immediatamente il termine "epidemia") una specificazione (non della condotta bensì) dell'evento. La nozione normativa di epidemia, infatti, è più ristretta rispetto a quella scientifica, potendosi manifestare – per scelta del legislatore – solo attraverso la diffusione, cioè la propagazione, di germi patogeni.
La norma, quindi, nel porre l'accento sull'evento, più che sulla condotta, descrive un reato causalmente orientato a forma libera, suscettibile pertanto di essere convertito in una corrispondente fattispecie omissiva. Tale ricostruzione esclude quindi la necessità, per la Corte, di interrogarsi sull'altro tema prospettato nell'ordinanza di rimessione, quello cioè della compatibilità tra i reati a condotta vincolata e la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 cpv c.p.
La lettura che la Cassazione fa dell'art. 438 c.p., che considera la diffusione di germi patogeni una mera specificazione dell'evento pandemico (e non della condotta) rende anche superfluo il tentativo di allargare il concetto di diffusione, fino a ricomprendervi il "lasciare che altri diffondano", come invece proposto dalla sezione rimettente.
Questa lettura, inoltre, è l'unica coerente con la scelta ordinamentale di tutelare in modo adeguato un bene giuridico primario quale è quello della pubblica incolumità. Un bene che nell'attuale contesto socio-scientifico-tecnologico appare minacciato – come peraltro dimostra l'esperienza del coronavirus – soprattutto dalle omissioni colpose nella gestione del rischio sanitario, più che dalla volontaria dispersione di virus nocivi prodotti in laboratorio.
Escludere che il reato possa venire integrato da condotte omissive, dunque, avrebbe quale effetto quello di rendere l'epidemia colposa una figura residuale, se non del tutto inoperante, anche perché ogni condotta attiva di diffusione penalmente rilevante non potrebbe che essere sorretta da una precisa volontà e consapevolezza in tal senso.
La Cassazione riunita, in conclusione, ammette che il reato di epidemia colposa possa venire integrato anche da una condotta omissiva, sempreché, naturalmente, in capo al soggetto agente gravasse un obbligo giuridico di attivarsi, che lo stesso ha colposamente disatteso. Inoltre, la Corte ha cura di rammentare la necessità che il giudice accerti la violazione di una regola cautelare da parte dell'agente, la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire e la sussistenza di un rapporto di causalità tra l'omesso impedimento della diffusione del germe e l'evento pandemico sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, secondo i postulati della sentenza Franzese[7].
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7. L’emergenza sanitaria provocata dalla rapida diffusione, anche in Italia, del virus Covid-19, ha sottoposto all’attenzione del giurista un gran numero di questioni interpretative di notevole rilevanza pratica, come quella relativa alla portata incriminatrice dei delitti di epidemia (artt. 438 e 452 c.p.).
Assenti nel codice penale Zanardelli e introdotti solo dal codice Rocco, nel 1930, prima della recente crisi sanitaria, questi delitti avevano suscitato scarso interesse in dottrina, considerata l’eccezionalità dei fenomeni epidemici e, di conseguenza, il loro esiguo riscontro nella prassi giurisprudenziale.
Non a caso, almeno fino al 2020, i delitti di epidemia sono venuti in rilievo, in giurisprudenza, solo con riferimento a episodi di contaminazione delle acque pubbliche (come quello di cui si è occupato la citata sentenza "Giacomelli", verificatosi nel Comune di San Felice del Benaco, in provincia di Brescia, nell'estate del 2009, che aveva prodotto una diffusa infezione di gastroenterite nella popolazione) o a casi di trasmissione del virus HIV tramite rapporti sessuali senza precauzioni con una pluralità di partner non informati (come quello giunto all'attenzione della Suprema Corte nel 2019[8]), cioè in relazione a vicende che avevano in realtà poco a che fare con un'epidemia propriamente detta e rispetto alle quali, difatti, il reato originariamente contestato è stato riqualificato in fattispecie incriminatrici più appropriate (nel primo caso, nel reato di adulterazione colposa di acque destinate all’alimentazione ex artt. 440 e 452 c.p; nel secondo, nel reato di lesioni personali gravissime)[9].
La svolta arriva con il diffondersi del Coronavirus e l'apertura di numerose inchieste sulla gestione dell'emergenza sanitaria, la più nota delle quali – inerente alla mancata istituzione di una “zona rossa” in Val Seriana, poi conclusasi con l’archiviazione – ha coinvolto persino il Presidente del Consiglio e del Ministro della Salute dell’epoca, insieme ad alte cariche della Regione Lombardia, dei componenti del CTS e alcuni dirigenti del Ministero della Salute e di organismi sanitari pubblici, rispetto ai quali la Procura di Bergamo aveva ipotizzato la configurabilità del reato di epidemia colposa omissiva[10].
8. Ma il reato di epidemia colposa si può presentare in forma omissiva? In dottrina, sulla questione, si registrano due orientamenti contrapposti, che prendono le mosse da una diversa ricostruzione del delitto di epidemia.
L'opinione finora prevalente ritiene che la nozione giuridica di epidemia sia più ristretta di quella elaborata dalla scienza medica, poiché la locuzione «mediante la diffusione di germi patogeni» circoscriverebbe la punibilità alle sole condotte che abbiano cagionato l'evento mediante la propagazione di germi patogeni e ricondurrebbe, quindi, il comportamento penalmente rilevante nell'orbita dei reati di evento a forma vincolata, avendo il legislatore inteso specificare le modalità di produzione del risultato lesivo[11]. Di conseguenza, non potrebbe operare il procedimento di conversione dell’ipotesi commissiva del reato in un’ipotesi di mancato impedimento dell’evento ex art. 40, cpv., c.p., giacché sono suscettibili di conversione solo le fattispecie causali pure.
Tale ricostruzione si fonda, pertanto, su questo semplice sillogismo: a) l’art. 40, co. 2, c.p. è inapplicabile ai reati a forma vincolata; b) l’epidemia è un reato a forma vincolata; c) l’art. 40, co. 2, c.p. è inapplicabile all’epidemia[12].
Se ciò è vero, non potranno essere chiamati a rispondere di epidemia colposa i titolari di una posizione di garanzia, quali i medici, gli infermieri e le autorità preposte alla gestione dell’emergenza sanitaria, per non aver posto in essere le misure necessarie ad arginare la diffusione del contagio all’interno di strutture ospedaliere e nella popolazione.
Secondo una ricostruzione ancora più stringente, il reato di epidemia, oltre ad avere forma vincolata, presupporrebbe non una semplice relazione patologica tra una persona e il morbo ma il dominio sul germe patogeno. La fattispecie di epidemia colposa, pertanto, farebbe tipicamente riferimento al caso in cui, nell’ambito di un’attività lecita di “trattamento” del virus, si verifichi, a causa della violazione di regole cautelari, la sua accidentale diffusione. Sicché, atteso che la trasmissione del Covid non comporta un dominio diretto sull’agente patogeno, non potrebbe giammai configurarsi il delitto di epidemia colposa[13].
Altra parte della dottrina ritiene, invece, che la formulazione dell’art. 438 c.p. non imponga affatto una forma vincolata, limitandosi piuttosto a fornire una definizione giuridica di epidemia, coincidente con quella divenuta di uso comune. Il legislatore avrebbe, cioè, semplicemente inteso circoscrivere la tipicità dell’evento, prevedendo che l’epidemia penalmente rilevante sia solo quella che riguarda le malattie infettive, le sole provocate, appunto, dalla «diffusione di germi patogeni»[14]. Il delitto di epidemia sarebbe quindi causalmente orientato a forma libera e, come tale, suscettibile di conversione in reato omissivo ex art. 40 cpv. c.p.
La dottrina più recente, inoltre, ha evidenziato l'opportunità di una nuova considerazione dell’art. 438 c.p., da intendersi aperto alla realizzazione in forma omissiva, in senso più conforme all'odierna "società del rischio"[15]. Diversamente, il campo omissivo della condotta e le posizioni di garanzia assunte in ambito sanitario resterebbero in buona parte prive di copertura generalpreventiva e, di conseguenza, nei casi di contagio da agenti patogeni determinati da condotte omissive realizzate nell’attività medico-sanitaria dovrebbe farsi continuo ricorso ai reati di omicidio e lesioni personali, che però tutelano l’incolumità individuale, lasciando sguarnito di protezione il bene giuridico della salute pubblica.
9. Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione riunita si è mostrata ben consapevole del rischio che un'interpretazione restrittiva dei delitti di epidemia, che porti a escluderne la configurabilità in forma omissiva, cagioni l'indebolimento della tutela di un bene giuridico di rango primario, quale è la salute pubblica, minacciato oggi soprattutto da episodi di negligente gestione del rischio sanitario, piuttosto che dall'intenzionale spargimento di germi, utilizzati come arma batteriologica.
Escludere che il reato di epidemia colposa possa manifestarsi in forma omissiva rende le norme incriminatrici in discorso di fatto inoperanti, come del resto testimonia la prassi giurisprudenziale, ove nella maggior parte dei casi – ivi compresi quelli che hanno segnato la recente stagione pandemica – si giunge ad archiviazioni o a giudizi di proscioglimento per l'insussistenza del fatto tipico[16].
Ammettendo l’astratta configurabilità dell’epidemia colposa omissiva, la Cassazione ha riaperto la partita giudiziaria, consentendo così che possano essere chiamati a rispondere del reato tutti coloro che rivestono una specifica posizione di garanzia in relazione alla salute della collettività, come il Ministro della salute, i governatori delle Regioni e i sindaci, o in relazione alla salute di persone affidate alla loro cura o sorveglianza, come i responsabili della gestione di strutture di ricovero, ospedali, RSA, case di cura, carceri, REMS, hotspost, ecc[17].
D'altra parte, la necessità di perseguire coloro che, con le loro omissioni, hanno colposamente aggravato la crisi sanitaria non deve trasformarsi in una "caccia all'untore" di manzoniana memoria. Opportunamente le Sezioni Unite hanno rammentato che per aversi condanna resta comunque necessario fornire «la prova degli elementi in base ai quali opera la previsione dell'art. 40, secondo comma, cod. pen.», fra cui, in particolare, la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta omissiva e l'evento pandemico e ciò sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, secondo i rigidi postulati della sentenza Franzese.
Ebbene, anche una volta ammesso che le condotte omissive possono integrare l'epidemia colposa, gli ostacoli più significativi alla concreta operatività del reato (almeno rispetto alle ipotesi di mancato impedimento della diffusione del virus) si rintracciano proprio sul piano dell’accertamento del nesso causale e della causalità della colpa. Per un verso, infatti, è necessario provare che la condotta doverosa, che è stata omessa, avrebbe impedito lo sviluppo dell’epidemia (o il suo aggravamento) ed escludere possibili decorsi causali alternativi; per altro verso, occorre verificare se, per caso, anche allorché fosse stata rispettata la regola cautelare, di cui si contesta la violazione, l’evento lesivo si sarebbe ugualmente verificato.
Quanto al primo profilo, notevoli sono le difficoltà di accertamento del nesso causale con riferimento all’epidemia da Covid-19. Considerate la contagiosità del virus e le più svariate modalità in cui si trasmette nella vita quotidiana, infatti, il giudizio controfattuale difficilmente riuscirebbe a superare il vaglio rigoroso imposto dalla giurisprudenza di legittimità.
Come è noto, nella sentenza Franzese, in ordine al problema dell’accertamento del rapporto di causalità, con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri, le Sezioni Unite hanno sottolineato che il livello di attendibilità della spiegazione causale deve essere tale da escludere ogni «ragionevole dubbio» circa l'efficacia condizionante della condotta rispetto all’evento. A tal fine, non è consentito al giudice dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sulla esistenza del nesso causale, dovendo egli verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell’evidenza disponibile, così che, nell’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’esistenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell’evento lesivo «con alto ed elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica».
Particolarmente complesso risulterebbe, pertanto, l’ascrizione dell’evento pandemico a soggetti istituzionali a livello di governo regionale e centrale. Più agevole sembra invece l’accertamento del nesso causale in relazione a condotte localizzate in contesti delimitati dal punto di vista spaziale e della cerchia di persone coinvolte, come nelle strutture sanitarie[18]. Anche in questi casi, tuttavia, si porrà comunque il problema della esclusione dei decorsi causali alternativi, ossia della dimostrazione che il contagio è riconducibile a quel determinato comportamento omissivo e non, piuttosto, a una diversa catena causale. In tale prospettiva, le ipotesi in cui sarà possibile individuare un nesso di causalità tra l’omessa condotta doverosa e la causazione di nuovi contagi saranno rarissime, come quella del ricovero di una persona certamente contagiata in un ambiente di persone certamente non contagiate e prive di contatti con l’esterno[19].
A ciò si aggiungano le difficoltà cui si va incontro nell’accertamento dell’elemento soggettivo. L’evento lesivo della diffusione degli agenti patogeni, provocato dalla condotta colposa, infatti, deve innanzitutto rientrare nello scopo di tutela perseguito dalla regola cautelare violata, cioè deve appartenere a quel tipo di eventi che quella regola era finalizzata a prevenire. In secondo luogo, è necessario verificare, sulla base di un giudizio ipotetico, la concreta efficacia della predetta regola cautelare nel contenimento del virus.
In sintesi, l’accertamento sia del nesso di causalità che della causalità della colpa appare una sfida difficilmente superabile quando si tratta di eventi pandemici, come dimostra il precedente più immediato dalla pronuncia in epigrafie, ossia la sentenza "La Rosa" del 2020, intervenuta su un episodio di diffusione del virus in una casa di riposo. In quel caso, infatti, la Cassazione ha evidenziato come, anche a voler aderire all’orientamento che ammette la configurabilità del reato di epidemia colposa mediante omissione, comunque non sussistevano (almeno per il giudice di merito) elementi per affermare che la condotta omissiva ascritta all'imputato fosse causalmente collegabile alla successiva diffusione del Covid tra i pazienti e il personale dalla casa di riposo da lui diretta. Ed infatti, alla stregua del giudizio controfattuale, ipotizzando come realizzata la condotta doverosa che questi aveva omesso (cioè l'integrazione del documento di valutazione dei rischi con le procedure previste dal d.P.C.M. del 24 aprile 2020), non era possibile desumere con alto grado di credibilità logica o credibilità razionale che la diffusione del virus sarebbe venuta meno, non potendosi escludere che la sua propagazione sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi (ad esempio, per la mancata osservanza delle prescrizioni impartite nel d.P.C.M. per le case di riposo, come quella di indossare le mascherine protettive, del distanziamento o dell'isolamento dei pazienti già affetti da Covid, ovvero a causa del ritardo negli esiti del tampone).
10. Tiriamo le somme. Alla prova del Covid, le Sezioni Unite della Cassazione dimostrano di voler tenere il passo coi tempi, nel segno della tutela effettiva del bene primario della salute pubblica, minacciato com'è oggi da rischi di nuove pandemie. L'astratta ammissibilità della figura del reato di epidemia colposa omissiva non è, tuttavia, ancora sufficiente. La sfida ora si sposta tutta sul terreno dell'accertamento nel nesso di causalità e della causalità della colpa. Bisognerà perciò attendere nuovi pronunciamenti dei giudici di merito e di legittimità per verificare la reale portata di questa sentenza e se il reato di epidemia avrà reali chance di operare, senza tuttavia scadere in inammissibili semplificazioni probatorie.
[1] Cass. pen., sez. IV, ord. 19 settembre 2024 (dep. 21 novembre 2024), n. 42614, Pres. Dovere, est. Cirese (consultabile a questo link), in questa Rivista, 10 gennaio 2025, con nota di S. Zirulia, Rimessa alle Sezioni Unite la questione della configurabilità dell’epidemia in forma omissiva. Analisi dell’ordinanza e brevi considerazioni di ordine sistematico.
[2] Cass., Sez. IV, sent. 12 dicembre 2017 (dep. 28 febbraio 2018), n. 9133, Pres. Piccialli, est. Tornesi (consultabile a questo link), in Dir. pen. cont., 6/2018, 292 ss, con nota di S. Felicioni, Un’interessante pronuncia della Cassazione su epidemia, avvelenamento e adulterazione di acque destinate all’alimentazione. Si v. anche: P. Piras, Sulla configurabilità del delitto di epidemia colposa omissiva, in questa Rivista, 8 luglio 2020; S. Raffaele, Il delitto di epidemia tramite contagio: un’analisi critica della giurisprudenza, in Discrimen, 18 dicembre 2020, 10 ss.
[3] Cass., Sez. IV, sent. 4 marzo 2021 (dep. 24 maggio 2021), n. 20416, Pres. Fumu, est. Cenci (consultabile a questo link), in Foro News, 11 giugno 2021, con nota di E. Davì, Covid-19 nella casa di riposo. Sulla configurabilità dell’epidemia colposa in forma omissiva.
[4] Cass., Sez. I, sent. 30 ottobre 2019 (dep. 26 novembre 2019), n. 48014, Pres. Di Tomassi, est. Santalucia, imp. V.T. (consultabile a questo link), in questa Rivista, 19 dicembre 2019, con nota di F. Lazzeri, Prova della causalità individuale e configurabilità del delitto di epidemia in un caso di contagi plurimi da HIV tramite rapporti sessuali non protetti.
[5] V. lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, progetto definitivo di un nuovo codice penale con la Relazione del guardasigilli on. Alfredo Rocco, Relazione sui libri II e III del progetto, Roma, II, 229, par. 477.
[6] L'ordinanza cita: Cass., Sez. 2, sent. 3 ottobre 2023 (dep. 16 novembre 2023), n. 46209, A., in Foro it., Rep. 2023, voce Truffa, n. 17; Cass., Sez. 2, sent. 18 aprile 2023 (dep. 7 giugno 2023), n. 24487, Mantovani, ibid., n. 18;
Cass., Sez. 6, sent. 5 marzo 2019, n. 13411, C., id., Rep. 2019, voce cit., n. 8.
[7] Cass., Sez. Un., sent. 10 luglio 2002 (dep. 11 settembre 2002), n. 27, Franzese, in Foro it., 2002, II, 601, con nota di Di Giovine.
[8] Cass., Sez. I, sent. 30 ottobre 2019 (dep. 26 novembre 2019), n. 48014, cit.
[9] S. Raffaele, Il delitto di epidemia tramite contagio: un’analisi critica della giurisprudenza, cit., 10 ss.
[10] Si rinvia a D. Amato, Gestione di eventi calamitosi e responsabilità penale: spunti di riflessione a seguito dell’archiviazione del procedimento sull’epidemia in Val Seriana, in Discrimen, 30 novembre 2023.
[11] G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., Bologna, 2019, 211.
[12] P. Piras, Sulla configurabilità del delitto di epidemia colposa omissiva, cit.
[13] R. Bartoli, La responsabilità colposa medica e organizzativa al tempo del coronavirus. Fra la “trincea” del personale sanitario e il “da remoto” dei vertici politico-amministrativi, in questa Rivista, 7/2020, 89-90.
[14] S. Corbetta, I delitti di comune pericolo mediante frode, II, 2, I delitti contro l'incolumità pubblica, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da G. Marinucci, E. Dolcini, Cedam, Padova, 2014, 16 ss; P. Piras, Sulla configurabilità del delitto di epidemia colposa omissiva, cit.
[15] Si v. E. Perrotta, Verso una nuova dimensione del delitto di epidemia (art. 438 c.p.) alla luce della globalizzazione delle malattie infettive: la responsabilità individuale da contagio nel sistema di common but differentiated responsability, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 216 ss.
[16] M.F. Carriero, L’(in)adeguatezza funzionale del delitto di epidemia al cospetto del Covid-19, in Archivio penale, 15 dicembre 2020, 31.
[17] M. Pelissero, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 525.
[18] Ivi, 528-529.
[19] R. Bartoli, La responsabilità colposa medica e organizzativa al tempo del coronavirus, cit., 93.