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02 Maggio 2023


Atti sessuali in videochiamata su Instagram e “presenza” del minore: la linea di confine tra interpretazione estensiva e analogia in una recente sentenza della Cassazione in tema di corruzione di minorenne ex art. 609 quinquies, co. 2 c.p.

Cass., Sez. III, 23 marzo 2023 (dep. 12 aprile 2023), n. 15261, Pres. Galterio, Rel. Liberati



1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Cassazione ha affrontato – sia pure nell’ambito di un giudizio cautelare – la questione della configurabilità della fattispecie di corruzione di minorenne di cui al primo comma dell’art. 609 quinquies c.p. quando la condotta dell’autore sia realizzata mediante mezzi telematici. La Corte, al riguardo, afferma che nella nozione di atti sessuali compiuti “in presenza” di un minore” al fine di farlo assistere – possono essere inclusi anche i comportamenti realizzati a distanza, purché condivisi virtualmente in tempo reale con la vittima.

Rispetto al delitto in esame, ma con riferimento all’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 609 quinquies c.p., la Cassazione aveva già escluso la necessità della presenza fisica del minore, ritenendo idonei a integrare il reato anche gli atti sessuali trasmessi mediante comunicazioni telematiche al fine di indurre il minore a compiere o subire atti sessuali[1]. Dunque, la novità della decisione risiede nella scelta di assegnare un nuovo, più esteso, significato al concetto di “presenza” – non solo fisica, ma anche “virtuale” – contenuto nella fattispecie di corruzione di minorenne disciplinata al primo comma della norma.

 

2. Il fatto alla base della decisione, come descritto dalla sentenza, riguarda atti di autoerotismo realizzati dall’imputata in diretta streaming e condivisi tramite il social network Instagram con alcuni utenti, tra cui un minore, dell’età di dodici anni. La difesa ha proposto ricorso per Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale di Bari che respingeva la richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari applicata all’imputata dal g.i.p., in relazione ai reati di produzione di materiale pedopornografico di cui agli artt. 600 ter e 602 ter c.p., e di corruzione di minorenni. Nel ricorso si eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata sostenendo l’errata applicazione dell’art. 609 quinquies c.p.

I fatti addebitati all’imputata sono stati ricondotti dalla pubblica accusa e dai giudici di merito alla fattispecie prevista al primo comma dell’art. 609-quinquies, ossia il compimento di “atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere”. Tuttavia, per tale ipotesi di reato – secondo la difesa – sarebbe richiesta la presenza fisica del minore, che è stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità solo in relazione alla figura di cui al secondo comma dell’art. 609 quinquies c.p.. Tale diversa fattispecie, infatti, punisce “chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali”. La difesa, in particolare, fa riferimento alla sentenza n. 14210 del 30 ottobre 2019, con la quale la Cassazione ha espresso il principio secondo cui le condotte realizzate tramite comunicazione telematica sono idonee a integrare il reato di cui all’art. 609 quinquies, comma 2, c.p. poiché la norma non richiede necessariamente la presenza fisica degli interlocutori. 

 

3. Le argomentazioni della Terza sezione muovono da un preliminare esame della fattispecie legale: essa si compone dell’elemento oggettivo costituito dal compimento di qualsiasi atto sessuale in presenza di un minore di quattordici anni, che assiste quale mero spettatore – non destinatario – di tali atti; accompagnato dalla volontà dell’autore di agire al fine di farvi assistere la vittima. Il punto centrale di questa prima osservazione è dunque la riaffermazione di quel consolidato orientamento giurisprudenziale che considera elemento costitutivo del reato di corruzione di minorenne il mancato coinvolgimento della corporeità del soggetto passivo; in quanto ove il minore non si limiti ad assistere, ma compia o subisca atti sessuali, si configureranno ipotesi delittuose più gravi, quali quelle di cui agli artt. 609 quater c.p., ovvero, in presenza di condotta coercitiva o induttiva, 609 bis c.p. e 609 ter c.p., comma 1, n. 1, nei casi di violenza sessuale aggravata dall’età del minore[2].

 

3.1. Tale premessa conduce al secondo snodo fondamentale della motivazione, ossia l’idoneità delle condotte realizzate tramite comunicazione telematica a ledere il bene giuridico tutelato dalla disposizione in esame. Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 609 quinquies, comma 2, c.p., il far assistere persona minore di quattordici anni al compimento di atti sessuali attraverso l’utilizzo di strumenti telematici, trattandosi di fattispecie configurabile in assenza di contatto fisico, costituisce un comportamento sufficiente a coinvolgere emotivamente la persona offesa e a compromettere la sua integrità sessuale.

La Cassazione, poi, sottolinea come l’interesse protetto tanto dal primo quanto dal secondo comma dell’art. 609-quinquies c.p. risieda nella salvaguardia del “sereno sviluppo della sfera sessuale dei soggetti minori di quattordici anni”; rispetto a tale bene la trasmissione in diretta di atti sessuali per via telematica presenta la stessa capacità offensiva degli atti sessuali compiuti in presenza fisica della vittima. Pertanto, la Corte ritiene che la norma assegni rilevanza penale anche alla condotta di chi compia atti sessuali a distanza e li condivida in tempo reale con un minore al fine di farlo assistere (609 quinquies comma 1 c.p.), e che non limiti tale possibilità di punire gli stessi comportamenti solo quando volti ad indurre il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali (609 quinquies comma 2 c.p.).

 

3.2. La Suprema Corte, evidentemente consapevole della forzatura ermeneutica operata, si confronta con il problema della formulazione letterale della norma. Al riguardo, centrale è il significato attribuito al concetto di “presenza”, nel quale vengono inclusi, appunto, anche atti compiuti in presenza c.d. virtuale e non fisica, “senza far ricorso alla analogia, ma sulla base di un’interpretazione della disposizione che tenga conto dei mezzi di comunicazione attualmente esistenti e delle possibilità dagli stessi offerte”. In particolare, assume fondamentale rilievo, secondo la Corte, la circostanza che gli strumenti telematici permettano di realizzare gli atti sessuali a distanza e di condividerli in tempo reale, nel corso del loro compimento (come nel caso della diretta streaming oggetto di giudizio), così ottenendo analogo risultato a quello che si avrebbe se il soggetto passivo fosse presente fisicamente.

A sostegno di tale interpretazione estensiva del concetto di “presenza”, la Cassazione ricorda quanto già stabilito anche in tema di ingiuria, con riferimento alla condotta di chi rivolga espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche alla persona offesa, alla presenza della stessa e di altre persone nella chat, qualificando tale comportamento come idoneo a integrare il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone e non di diffamazione, proprio in ragione della possibilità per i terzi che assistono online di interloquire con l’offensore attraverso gli strumenti telematici[3].

Sulla base di tali considerazioni, i giudici della Terza Sezione affermano il principio per cui la disposizione non richiede necessariamente una presenza fisica; è sufficiente, invece, una “presenza“ idonea a far assistere il minore al compimento degli atti sessuali, così che l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 609 quinquies, comma 1 c.p. può dirsi integrato anche quando le condotte a carattere sessuale siano trasmesse virtualmente in tempo reale al soggetto minore di quattordici anni.

***

4. Considerata la rilevanza e attualità del tema della qualificazione degli atti sessuali condivisi online, proviamo qui a proporre qualche breve spunto di riflessione in ordine alle soluzioni interpretative adottate dalla Corte. Prima di entrare nel dettaglio delle questioni sollevate dalla decisione, è opportuno individuare i tre assi principali intorno ai quali essa si sviluppa: il mancato coinvolgimento della corporeità della vittima quale elemento costitutivo – negativo – del reato di corruzione di minorenne, l’offensività della condotta realizzata tramite mezzi telematici rispetto al bene giuridico dell’integrità sessuale del minore, l’interpretazione estensiva del concetto di presenza.

 

4.1 Per quanto riguarda il primo aspetto, va innanzitutto evidenziato che la pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale costante, che – a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 66 del 1996 – ha individuato la distinzione tra la fattispecie di corruzione di minorenne (609 quinquies c.p.) e quella di atti sessuali con minorenne (609 quater c.p.) proprio nella differente posizione della vittima rispetto al compimento degli atti sessuali da parte dell’autore: nel primo caso, la vittima si troverebbe in posizione assolutamente passiva, mentre nel secondo assume un ruolo anche partecipativo[4].

Peraltro, anche con riferimento al delitto di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che le condotte poste in essere tramite comunicazione telematica, pur realizzandosi a distanza e senza contatto fisico, siano idonee a integrare il reato in esame, poiché sufficienti a compromettere l’integrità sessuale del soggetto passivo. Ma vi è di più: non solo la fattispecie è integrata anche se gli atti sessuali sono compiuti in videochat, ma il fatto che essi si svolgano per via telematica non può, ex se, determinare l’applicazione dell’attenuante speciale di minore gravità di cui all’art. 609 quater, comma 4, c.p. Secondo la Cassazione, infatti, la valutazione circa la gravità, maggiore o minore, dei fatti va condotta sulla base di un’analisi delle caratteristiche oggettive e soggettive del caso, che possono incidere sul bene giuridico tutelato in termini analoghi indipendentemente dalla circostanza che si svolgano in presenza o online. Sul punto, la posizione della Cassazione è granitica: “la violenza o gli atti sessuali con minorenne ‘virtuali’ non sono necessariamente caratterizzati da una minore gravità rispetto a quelli reali”[5].

 

4.2. Tanto premesso, passiamo ora al secondo profilo chiave della sentenza, a proposito della offensività delle condotte attuate per vie telematiche in relazione alla salvaguardia degli interessi del minore. Se, come si è detto, il compimento di atti sessuali con un minore attraverso mezzi telematici è considerato parimenti lesivo a confronto con la stessa condotta realizzata in presenza, ci pare ragionevole ritenere che, sulla base delle medesime considerazioni, altrettanto valga per la fattispecie di corruzione di minorenne. Anzitutto perché, come si è detto, nel reato di cui all’art. 609 quinquies c.p., il soggetto passivo si comporta come mero spettatore che assiste alla condotta tenuta dal soggetto attivo, essendo esclusa qualsiasi partecipazione. Se per l’ipotesi di atti sessuali con minorenne l’elemento della fisicità del rapporto può, ad avviso di chi scrive, determinare maggiore invasività della sfera sessuale del minore, soprattutto in termini di devastazione fisica, oltre che psicologica, per il delitto di corruzione di minorenne, dove il corpo del minore non è coinvolto, tale problema non si pone, o resta comunque marginale. Ci pare di poter concordare con la Corte, quindi, nell’affermare che per il soggetto minore di quattordici anni assistere al compimento di atti sessuali su uno schermo possa provocare gli stessi danni di quando egli sia presente nel luogo in cui si realizzano, rispetto allo sviluppo psichico della sua sfera sessuale.

Quanto appena detto ci impone di considerare non solo l’interesse del minore che la norma intende tutelare, ma soprattutto l’incidenza che la presenza fisica degli interlocutori ha sulla tutela di tale interesse, posto che l’argomento principale a sostegno della tesi interpretativa della Cassazione riguarda proprio l’offensività delle condotte telematiche rispetto al bene giuridico protetto.

In dottrina si riscontrano orientamenti divergenti; tuttavia, è opinione prevalente quella che individua l’oggetto di tutela della disposizione nell’armonico sviluppo psico-sessuale del minore, in accordo con la giurisprudenza di legittimità[6].

Ci sembra di poter ritenere che le condotte sessuali condivise online con la vittima siano connotate da una carica offensiva sufficiente a compromettere il sano sviluppo della personalità sessuale del minore, che in ogni caso assiste al compimento di atti sessuali che turbano il suo normale processo di maturazione sessuale. Senza addentrarci per un momento nel problema interpretativo del concetto di presenza, ragionando esclusivamente sulla lesività delle condotte qui analizzate, pare evidente che la Cassazione abbia affermato la configurabilità della corruzione di minorenne virtuale al fine di tutelare i soggetti minori di quattordici anni da nuove forme di aggressioni sessuali che possono subire online. Come la stessa Corte ha affermato in altre occasioni, gli strumenti telematici costituiscono una nuova forma di socializzazione attraverso la quale oggi si costruiscono e intrattengono i rapporti interpersonali, soprattutto per i più giovani. Ciò porta, inevitabilmente, i minori ad essere quotidianamente esposti a possibili violenze o intrusioni nella loro sfera sessuale, di certo più facilmente realizzabili per l’autore e talvolta persino più subdole.

Per concludere su questo aspetto, sia consentita un’ulteriore osservazione: all’indomani dall’entrata in vigore della l. n. 66 del 1996, e prima che, con la l. 1 ottobre 2012, n. 172, fosse introdotto il secondo comma dell’art. 609 quinquies c.p., la disposizione era stata definita da autorevole dottrina di limitato orizzonte applicativo, perché diretta a punire comportamenti poco frequenti lasciando scoperte altre, più comuni, forme di aggressione all’integrità sessuale dei minori[7]. Tale limitazione all’applicabilità della norma a fattispecie concrete piuttosto frequenti derivava proprio dal requisito della presenza fisica degli interlocutori; infatti, sarà la previsione di cui al comma 2 dell’art. 609 quinquies c.p. a superare il requisito della presenza fisica sostituendolo con il semplice “far assistere”. Questo, però, solo quando sia integrato il dolo specifico di suddetta sotto-fattispecie, ossia lo scopo di indurre il minore a compiere o subire atti sessuali. È, dunque, per questa ragione che la Cassazione con la pronuncia in commento, individuando un vuoto di tutela, ha ritenuto di ampliare il significato del concetto di presenza includendovi anche quella c.d. virtuale.

 

4.3. Sulla base delle considerazioni anzidette, introducendo la terza questione, relativa all’interpretazione del concetto di presenza, veniamo a un interrogativo che ci pare essere dirimente rispetto alla soluzione avanzata dalla terza sezione. In particolare, occorre chiedersi se, con l’espansione della locuzione “atti sessuali compiuti in presenza” fino a ricomprendervi anche gli atti sessuali commessi a distanza, ma trasmessi online in tempo reale, la Corte sia incorsa in un’interpretazione analogica o si sia limitata a un’interpretazione estensiva della disposizione. Nonostante nella sentenza si parli esplicitamente di interpretazione che non fa ricorso ad analogia, ci sembra di poter sollevare qualche dubbio sul rispetto del principio di tassatività[8].

Nelle due fattispecie di corruzione di minorenne di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 609 quinquies c.p., seppur accomunate dallo stesso bene giuridico, si distinguono due modalità di interazione tra vittima autore, non solo differenziate dal dolo specifico: nel primo caso, la norma espressamente richiede che gli atti sessuali si svolgano in presenza del minore, nella seconda ipotesi, invece, è sufficiente che l’autore faccia assistere il minore agli atti sessuali o gli mostri del materiale pornografico. La condotta tipica della figura di cui al secondo comma consiste, appunto, nel semplice far assistere ad atti o mostrare comportamenti di natura sessuale, con una formulazione che consente, dunque, di estendere il perimetro di applicabilità della norma anche ad esibizioni sessuali che avvengono per via telematica, in ragione dell’ampia scelta letterale operata dal legislatore del 2012.

Questa conclusione, a nostro avviso, non sembra potersi trarre con riguardo all’ipotesi del primo comma dell’art. 609 quinquies c.p. senza incorrere in una violazione del divieto di analogia in malam partem[9]. Se è certamente condivisibile l’intenzione di tutelare i minori da tutti i possibili turbamenti del loro normale sviluppo psico-sessuale, i quali possono evidentemente derivare dalla visione troppo precoce di comportamenti sessuali inviati su strumenti telematici; si deve altresì ammettere che il tenore letterale della norma incriminatrice non sembra poter abbracciare anche la trasmissione virtuale degli atti sessuali, neanche se realizzata in diretta[10]. Il significato letterale dell’espressione “atti compiuti in presenza” è circoscritto a quei comportamenti realizzati fisicamente al cospetto dello spettatore, in una situazione di contiguità spazio-temporale, e appare una forzatura ritenere che la presenza sul luogo sia perfettamente parificabile al collegamento online. Di certo, in termini di tutela del minore, si può parlare di eguale offensività delle due condotte, ma sul piano interpretativo la trasmissione telematica non è, a nostro avviso, riconducibile ai possibili significati letterali della disposizione in esame.

Piuttosto, la Corte ha ritenuto assimilabili il caso di atti sessuali compiuti in presenza e quello di esibizioni sessuali condivise in tempo reale, sulla base della comune ratio di tutela dell’integrità sessuale del soggetto passivo: si tratta si ipotesi che portano alle stesse, negative, conseguenze sullo sviluppo del minore, ma pur sempre con modalità di azione sostanzialmente diverse che non possono dirsi coincidenti per il semplice fatto che ottengono il medesimo risultato.

Per avvalorare quanto detto, possiamo avanzare un argomento di ordine sistematico. Sono gli stessi giudici della Terza Sezione a richiamare, nella sentenza in commento, il concetto di presenza nel delitto di ingiuria, rinviando a una recente pronuncia con cui la Corte ha stabilito che la condotta di chi offende taluno alla presenza di più persone in una chat online integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone. La disposizione di cui all’art. 594 c.p., ultimo comma, tuttavia, ci suggerisce che ove il legislatore ha inteso assegnare rilevanza penale alle condotte realizzate mediante strumenti telematici, invece che in presenza fisica, se ne è occupato espressamente: il secondo comma della norma, infatti, esplicitamente sanzionava con la stessa pena della fattispecie base chi commetteva il fatto “mediante comunicazione telegrafica o telefonica”. Del resto, la sentenza a cui fa riferimento la Terza Sezione (n. 10905 del 25 febbraio 2020), non qualifica i fatti sulla base dell’interpretazione dell’espressione “in presenza di più persone”: nucleo centrale della motivazione sembra essere la distinzione tra ingiuria – dove le dichiarazioni sono dirette all’offeso – e diffamazione, ipotesi in cui l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa tra più persone. È sulla base di questo argomento che la Corte ha qualificato i fatti come riconducibili alla figura del delitto di ingiuria, sebbene aggravata dalla presenza “virtuale” di più persone, e non a quello di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. Peraltro, la formulazione letterale della fattispecie di ingiuria, che equipara espressamente le dichiarazioni rivolte a persona presente (primo comma) a quelle commesse per via telefonica (secondo comma), ha senso solo se si intende le comunicazioni telefoniche non avvengono in presenza: non vi sarebbe ragione, altrimenti, di un’esplicita previsione sul punto. Da ultimo, va segnalato che il nuovo illecito civile di ingiuria, corredato da una sanzione civile punitiva e disciplinato dall’art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, espressamente dà rilievo alle offese mediante comunicazione telematica.

Muovendo da questa prospettiva, la soluzione ermeneutica cui la Corte di Cassazione è giunta con riguardo al concetto di “presenza” nella fattispecie di corruzione di minorenni di cui al comma 1 dell’art. 609 quinquies c.p. ci sembra integrare una inammissibile applicazione analogica della legge penale, piuttosto che un’interpretazione estensiva, della disposizione. La lettera della legge, che richiede la “presenza”, non ci sembra possa essere estesa fino a ricomprendere la “distanza” delle persone coinvolte.

Resta evidente e, a nostro avviso, pienamente condivisibile, la volontà della Corte di sanzionare le esibizioni sessuali trasmesse in tempo reale a soggetti minori di anni quattordici anche al solo fine di farli assistere, e non solo nell’ipotesi disciplinata all’art. 609 quinquies, comma 2 c.p. Riteniamo, tuttavia, che a monte delle considerazioni in merito all’offensività delle condotte telematiche, si ponga una fondamentale questione di rispetto dei principi costituzionali in materia penale. La lacuna normativa individuata dalla S.C. andrebbe senz’altro colmata dal legislatore, come impone l'art. 25, comma 2 Cost.

[1] Cass. pen., sez. III, 30 ottobre 2019, n. 14210

[2] È quanto la terza sezione della Corte ha sostenuto nella sentenza n. 24417 del 9 marzo 2016, dove si afferma che per integrare l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 609 quinquies c.p.  “è necessario che l’agente ponga in essere uno o più atti sessuali su se stesso, su terzi o con terzi, purché, in ogni caso, l’atto sessuale non investa il corpo del minore”. Nello stesso senso, Cass. pen., sez. III, 24 novembre 2014, n. 15827.

[3] Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2020, n. 10905.

[4] Come esaustivamente chiarito dalla terza sezione nella sentenza n. 15827 del 24 novembre 2014, non è configurabile il concorso apparente di norme tra il delitto di atti sessuali con minorenne e quello di corruzione di minorenne, in quanto “il reato di cui all’art. 609 quinquies c.p., nella sua nuova formulazione a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 66 del 1996, non include più gli atti di libidine commessi su persona minore di anni sedici. La fattispecie in esame (609 quinquies) ricorre solo quando il minore non sia il destinatario di atti sessuali ma si limiti a fare da spettatore rispetto ad atti sessuali commessi da altri”.

[5] Cass. pen., sez. III, 23 marzo 2015, n. 16616.

[6] Così, tra gli altri, P. Veneziani, Corruzione di minorenne, in A. Cadoppi, S. Canestrari, M. Papa (a cura di), I reati contro la persona. Vol III. I reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico-fisico dei minori, Torino, UTET giuridica, 2006, pp. 171 ss. Contra: F. Coppi, Corruzione di minorenne, in F. Coppi (a cura di), I reati sessuali. I reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 185 ss. Secondo l’Autore, la norma non tutelerebbe lo sviluppo della personalità sessuale del minore, bensì proteggerebbe il corpo del minore dalla strumentalizzazione che l’autore ne fa per i propri scopi sessuali.

[7] Così, per tutti, F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale I. I delitti contro la persona, Padova, CEDAM, 2005, pp. 383 ss.

[8] Cfr., per tutti, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffré, 2022, pp. 89 ss.

[9] Ibidem

[10] Nello stesso senso, M. Vizzardi, B. Fragasso, sub art. 609 quinquies, in E. Dolcini, G. L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato. Vol. III,  V ed., Milano Wolters Kluwer, 2021, p. 1175.