A proposito del disegno di legge di iniziativa che prevede l'introduzione del delitto di femminicidio, segnaliamo i contributi del prof. Fiandaca, del prof. Donini e del prof. Pugiotto pubblicati in questa Rivista.
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1. L’annuncio della presentazione del disegno di legge Introduzione del delitto di femminicidio, altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime, ha suscitato un dibattito focalizzato sull’art. 577-bis c.p. che introduce la fattispecie di femminicidio, punita con l’ergastolo e con uno specifico regime di bilanciamento con le attenuanti eventualmente riconosciute. Alle opinioni generalmente positive della politica, con frequenti richiami alla necessità di introdurre contestualmente significativi interventi per la prevenzione della violenza ai danni delle donne, si sono affiancate contrastanti valutazioni degli operatori del diritto, con non marginali critiche fondate su plurimi argomenti.
Rinviando ad altre sedi un esame approfondito del testo proposto, è utile oggi proseguire il dibattito al fine di assumere una scelta tra le alternative che si pongono: sostenere la previsione della nuova fattispecie, pur con opportuni correttivi, oppure adottare una posizione di intransigente rifiuto, ripercorrendo, ad esempio, il dibattito sulla confisca di prevenzione ove alle posizioni demolitorie se ne sono contrapposte altre che, attraverso osservazioni critiche, hanno contribuito a delinearne lo Statuto di garanzie (cfr. Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
2. Limitando lo sguardo all’introduzione del delitto di femminicidio, pur se va collocato nell’ambito complessivo degli interventi proposti cui si farà poi qualche cenno, deve cogliersi subito con favore la maggiore attenzione finalmente manifestata, anche a livello teorico e scientifico, al fenomeno della violenza ai danni delle donne di cui il femminicidio rappresenta l’epilogo. Se negli ultimi anni è emersa nella politica una progressiva consapevolezza della diffusione del fenomeno della violenza ai danni delle donne (e domestica), con incisivi interventi con le leggi nn. 69/2019 e 168/2023 che hanno poi impegnato la magistratura e gli operatori del diritto, non sembrava cogliersi un analogo interesse a livello teorico e un adeguato aggiornamento della dottrina e della giurisprudenza soprattutto rispetto alle fonti e alla giurisprudenza sovranazionali arricchitasi di plurimi spunti[1]. Questo limite incide, ovviamente, anche sul dibattito relativo all’introduzione del delitto di femminicidio, oggetto di approfonditi studi in molti Paesi che lo hanno normato (principalmente dell’America latina).
3. La principale critica alla nuova fattispecie penale si concentra sull’uso distorto del diritto penale, utilizzato come scorciatoia a costo zero verso una deriva securitaria, con l’introduzione di plurime fattispecie penali in una visione populistica che ne valorizza la funzione punitiva che dovrebbe, invece, essere ridotta al minimo e solo in presenza di beni di indubbio valore costituzionale. Non si può che convenire, in linea generale, sull’utilizzo distorto del diritto penale negli ultimi anni, che ha visto accrescere il numero di delitti, alcuni di natura meramente simbolica e non concretamente applicati (art. 633-bis c.p. relativo al cd. Rave party), altri in corso di esame dal Parlamento con la previsione di fattispecie che appaiono in contrasto con principi basilari del diritto penale. Ad esempio, si prepone il delitto di rivolta nei luoghi di privazione della libertà personale (non solo nelle carceri ma anche nei CPR) che può consistere, tra l’altro, nella resistenza passiva a un ordine impartito dall’autorità, norma che potrebbe, questa sì, spingere a decise forme di manifestazione di dissenso della dottrina e degli operatori del diritto. Premesso che non sembra si siano registrate così tante critiche alla deriva populistica sopra descritta[2] quante, invece, emergono rispetto al delitto di femminicidio, manca un adeguato confronto col tema specifico di questo fenomeno criminale e sulle ragioni che – come si vedrà a breve – lo alimentano. Infatti, nuove fattispecie o incrementi sanzionatori sono condivisibili se in linea con la specificità e gravità dei fatti da punire (ad esempio, la tortura), come di certo sono i delitti di violenza ai danni delle donne che, invece, per lungo tempo sono stati sottovalutati, e solo di recente hanno visto concreti interventi (anche) nell’ambito penale con le leggi nn. 69/2019 e 168/2023[3].
Il confronto, però, si sposta, sulla funzione del diritto penale, spesso richiamata per contestare il nuovo delitto di femminicidio, e sulla selezione dei beni da tutelare. Pur nella consapevolezza della specificità e del tecnicismo del tema, si può ricordare, per estrema sintesi, che tra le numerose tesi che si confrontano sulle ragioni del diritto penale non mancano alcune cui ancorare la penalizzazione del femminicidio in considerazione del valore costituzionale del bene tutelato, come individuato anche dalle fonti internazionali (su cui si tornerà oltre). Parte della dottrina richiama l’esigenza di garantire o rafforzare la tutela dei beni già riconosciuti e che la coscienza sociale percepisce come particolarmente bisognosi di protezione[4]. Ancora, si focalizzata l’attenzione sulla funzione “di orientamento culturale, connessa alla minaccia della sanzione penale”[5] e sul ruolo “fortemente simbolico” del diritto penale, tenendo conto della “’importanza dei beni oggetto di protezione”, richiamando gli artt. 2 e 3 della Costituzione, anche in funzione di propulsione per la rimozione degli ostacoli economico e sociali che oppongo alla omogeneizzazione sociale e predispongono alla criminalità[6]. Utile anche il riferimento, pur se il diritto penale costituisce l’extrema ratio, alla selezione del bene giuridico da operare avvalendosi del contributo conoscitivo del sapere socio-criminologico[7].
Pur convenendo sulla drammaticità del fenomeno della violenza ai danni delle donne, si oppone, in linea generale, che, comunque, le strategie sanzionatorie e di ricorso al processo penale sono inefficaci. Emergono, però, a confutazione dell’argomento, dati significativi sull’utilità degli interventi introdotti, da ultimo, delle leggi nn. 69/2019 e 168/2023, pur se a costo zero e a risorse invariate con sacrificio delle forze dell’ordine e della magistratura. Si sono registrati plurimi effetti positivi, con incremento delle denunce, fenomeno che ne evidenzia una sua maggiore emersione[8]. I dati dimostrano anche un significativo aumento delle misure cautelari, in gran parte non custodiali, desumibili anche dal numero di cd. braccialetti elettronici applicati all’esito dell’ordinario procedimento munito delle note garanzie, sostanziali e procedimentali[9].
Si richiama, poi, l’inutilità del delitto di femminicidio, da un lato perché il fenomeno si contrasta con la prevenzione della violenza ai danni delle donne, dall’altro perché in presenza di un omicidio già gravemente punito (con l’ergastolo in presenza di aggravanti), non vi sarebbe alcuno effetto deterrente. Pur se la prospettiva è corretta, detti argomenti non incidono sulle ragioni che inducono a introdurre il nuovo reato. Non si dubita che, come richiesto anche dalla Convenzione di Istanbul, occorra investire nella prevenzione (a partire da un’educazione che si concentri sulle cause culturali della violenza ai danni delle donne e all’eliminazione delle fome di discriminazione ancora ampiamente presenti), ma ciò non esclude di per sé l’opportunità dell’introduzione del delitto di femminicidio che appartiene alla realtà sociale e richiede interventi immediati. Ancora, pur se può convenirsi che l’effetto deterrente della sanzione per l’uccisione volontaria di una persona sia limitato, ciò non impedisce che meriti una sanzione adeguata, al pari di ogni reato che tutela beni di elevatissimo valore costituzionale e sovranazionale (si pensi al delitto di tortura, recentemente introdotto, punito con l’ergastolo se segue la morte).
Si sostiene che il delitto di femminicidio trovi fondamento nei Paesi dell’America latina che lo hanno introdotto, in un contesto culturale e sociale con una forte componente discriminatoria, sessista, violenta contro le donne, fenomeno criminologico incomparabile con la realtà italiana, che ha un tasso di tali delitti tra i più bassi in Europa. In Italia, però, la discriminazione contro le donne e la diseguaglianza ai loro danni sono ancora ampiamente presenti[10]. Inoltre, i dati statistici, oltre a potere essere fallaci per la varietà di classificazione del femminicidio, non possono essere letti in termini assoluti ma solo rispetto al numero di omicidi complessivi. Infatti, si sono stimati nel mondo circa il 17 % di femminicidi sul totale degli omicidi volontari; si tratta di una percentuale sovrapponibile all’Italia che nel 2024 registra una percentuale di circa il 20% di femminicidi sul totale degli omicidi volontari (99 omicidi di donne in ambito familiare/affettivo sul totale di 321 omicidi[11]). In ogni caso siamo in presenza di un fenomeno omicidiario ove quindi conta anche un numero limitato di casi su cui intervenire adeguatamente.
Quanto all’eccesso sanzionatorio, essendo previsto dalla proposta l’ergastolo, pur se si ritiene che questo vada espunto dall’ordinamento nazionale, è agevole rilevare che già oggi l’omicidio aggravato (anche dalla relazione ovvero se connesso col delitto ex art. 572 c.p. e in altre ipotesi) è punito con tale pena, sicché il femminicidio non potrebbe prevedere una sanzione inferiore. Non mancano, poi, fattispecie che stabiliscono l’ergastolo come pena fissa (Delitti contro la personalità dello Stato, Delitti contro l’incolumità pubblica, delitti aggravati dall’evento morte: 630 c.p., sequestro di persona a scopo di estorsione, 613-bis c.p., tortura), comunque giustificata se ragionevolmente proporzionata rispetto al bene giuridico tutelato (Corte cost., sent. n. 94 del 2023). Inoltre, in linea con la giurisprudenza costituzionale, il disegno di legge prevede non un divieto di bilanciamento ma una riduzione della pena in presenza di attenuanti e riguarda il solo delitto di femminicidio, di cui perciò viene ritenuta la particolare offensività, e non una gamma indifferenziata di omicidi (Corte cost., sent. n. 197 del 2024). Infine, va sottolineato, sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza, che la previsione dell’ergastolo per il femminicidio, al pari dell’omicidio aggravato, non consente il rito abbreviato ex art. 438, comma 1-bis, c.p.p. (norma che ha retto alle censure di conformità a costituzione, da ultimo, Corte cost., sent. n. 1/2025), non comportando alcuna disparità di trattamento.
Un’obiezione che induce a riflettere (anche sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza) riguarda la mancata previsione di un’analoga fattispecie (o aggravante) nel caso di discriminazione o odio per motivi di genere o identità di genere. Fermo restando che la proposta è emendabile (ad esempio, prevedendo un’aggravante specifica), è dirimente tenere conto che il femminicidio costituisce non solo un fenomeno diffuso sulla base dei dati offerti, ma è caratterizzato in modo specifico e univoco dal sesso della vittima e dalla condotta dell’autore del reato delineata secondo la formulazione del disegno di legge.
Il tema dell’assenza di tipicità della nuova fattispecie sarà affrontato oltre, pur se è opportuno subito ricordare che la giurisprudenza ha adottato interpretazioni adeguate in presenza di formule che potevano apparire prive di un adeguato tasso di prevedibilità, perfino in presenza del solo verbo maltrattare che delinea la condotta del delitto di cui all’art. 572 c.p.[12].
Infine, va sottolineato, anche in chiave storica, che durante i lavori preparatori delle modifiche che portarono alla l. n. 66/1996, Norme contro la violenza sessuale, furono manifestate numerose perplessità dalla dottrina e dagli operatori del diritto (ad esempio sulla mancanza di tipicità, sulla violazione del principio di uguaglianza, sull’eccesso sanzionatorio, ecc.)[13], superate dalla giurisprudenza.
4. Esaminate le critiche, che appaiono non dirimenti per contestare la nuova fattispecie, ma utili per valutare formulazioni più adeguate, si possono esporre le ragioni sull’utilità della previsione del nuovo delitto, così rendendo concreta la priorità del contrasto, anche nel campo del diritto penale, al fenomeno della violenza ai danni delle donne di cui, giova ripeterlo, il femminicidio rappresenta l’apice.
La nuova fattispecie ha piena dignità nel nostro ordinamento, dando concretezza alle diffuse affermazioni di principio, per cui si è in presenza di fenomeni gravi e drammatici che alimentano un’esigenza di giustizia e di risposta che l’ordinamento deve assicurare, in considerazione del valore del bene giuridico violato di particolare rilievo nel contesto costituzionale e soprattutto sovranazionale (spesso ignorato o sottovalutato in questo settore, ma richiamato frequentemente in altri), alla luce della diffusione del fenomeno della violenza nei confronti delle donne e alla doverosa azione di contrasto dello Stato.
La Convenzione di Istanbul del 2011 (ratificata dall’Italia nel 2013) riconosce “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e …che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”, imponendo, all’art. 1, agli Stati di “proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica”.
La direttiva UE 2024/1385 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica richiama analoghi principi e, al Considerando 9, precisa che “Nella definizione di violenza contro le donne rientrano infine alcuni reati previsti dagli ordinamenti nazionali. Si pensi ad esempio al femminicidio, allo stupro…”[14].
Il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, istituito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2007 (CEDAW), nel rapporto del 19 febbraio 2024 sull’Italia rileva “con preoccupazione… Che il femminicidio non è definito come un reato specifico” e raccomanda di “Modificare il Codice penale per criminalizzare specificamente il femminicidio”.
Anche la Corte europea, nella sentenza del 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, fa un cenno al femminicidio richiamando due disegni di legge della XVII Legislatura dell’epoca, AS n. 724 recante «Disposizioni per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio» e AS n. 764 «Introduzione del reato di femminicidio», entrambi intesi “a contribuire alla risposta globale alla lotta contro la violenza sessista. Il disegno mira in particolare a fare della discriminazione e della violenza di genere dei reati caratterizzati.”.
Sull’importanza del fenomeno vi è traccia anche nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale che, nel dichiarare incostituzionale il divieto di bilanciamento introdotto all’art. 577 c.p. dalla l. n. 69/2019, ha voluto precisare “L’odierna dichiarazione di illegittimità costituzionale non contraddice in alcun modo la legittima, ed anzi certamente apprezzabile, finalità di tutela perseguita dal legislatore con l’approvazione del “Codice Rosso”, avvenuta sulla base di un consenso trasversale raggiunto tra le forze politiche nel 2019. Le statistiche annue sui femminicidi…. dimostrano la necessità per il legislatore di intervenire con misure incisive, preventive e repressive, per contrastare efficacemente questo drammatico fenomeno, nonché la generalità dei fenomeni di violenza e abusi commessi nell’ambito di relazioni familiari e affettive.” (sentenza n. 19 del/2023).
La stessa Corte, con la sentenza n. 174 del 2024, ricorda che “il femminicidio, e prima ancora la violenza contro le donne di cui è l’espressione più atroce, è difficile da leggere e da sradicare perché richiede un impegno essenzialmente culturale nel decrittare i segni, normalizzati, della subordinazione delle donne che ne sono vittime e del potere diseguale, ritenuto legittimo, degli autori”.
La Corte di cassazione sempre più spesso utilizza il termine femminicidio riconoscendolo nelle sue caratteristiche principali: “l’uccisione di una donna, da parte del partner, quale espressione di un estremo tentativo di perpetuare una condizione di dominio violento.”[15]. Si coglie il quid pluris dell’uccisione della donna anche rispetto alla contestata aggravante del rapporto di coniugio, che ne legittima il maggiore disvalore in considerazione del bene tutelato dalla Costituzione e dalle citate fonti sovranazionali: uccisione di una donna nel tentativo di perpetuare una condizione di dominio violento o, comunque, di supremazia e limitazione della libertà della vittima.
La Procura Generale della Corte di cassazione non sottovaluta i femminicidi e guarda con favore alla “auspicabile istituzione nel nostro ordinamento, al pari di quanto avviene in altri Paesi Europei, di forme di domestic homicide rewiew (DHR) volte allo studio e all’analisi scientifica, attraverso una commissione di esperti, dei casi di femminicidio già avvenuti, con l’intento di trarre, dall’analisi di tali casi, esperienze utili per la gestione dei casi futuri, nella convinzione che sia fondamentale capire, con approccio scientifico, cosa sia successo.”[16].
Di particolare utilità, per lo studio del femminicidio, delle sue cause e dell’intervento giudiziario la Relazione della Commissione femminicidio della XVIII legislatura sulla risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia, approvata all’unanimità. La Relazione, scarsamente citata, ha valutato i fascicoli di 211 procedimenti penali (dalla notizia di reato alla sentenza) relativi a potenziali femminicidi: tutti omicidi di donne perpetrati da uomini nel corso del biennio 2017-2018 (di cui 96 nel 2017 e 115 nel 2018), procedendo a una attenta analisi del fenomeno, particolarmente utile per chi intende comprenderne cause e diffusione[17].
5. Si è già avuto modo di sottolineare[18] che l’uccisione delle donne in un contesto di violenza di genere e domestica ha assunto, solo da pochi anni, particolare rilievo nel dibattito culturale e giurisprudenziale, sebbene sia un fenomeno che esiste da sempre a livello globale e, perciò non ha natura emergenziale come dimostrano i dati, costanti negli anni.
La previsione di una fattispecie penale autonoma consentirà di nominare un fenomeno radicato e, a tutti gli operatori del diritto e a ogni livello, di riconoscerlo e approfondire le ragioni strutturali della specifica violenza contro le donne di cui si alimenta il femminicidio[19].
Nominare “il femminicidio” nel codice penale, inteso nel suo nucleo come uccisione di una donna per ragioni legate alla sua appartenenza di sesso, favorirà un’evoluzione complessiva esattamente come l’avere nominato “la mafia” nel 1982, con l’introduzione dell’art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso), a seguito dell’uccisione di Pio La Torre e del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, attraverso l’attribuzione di un nome e di una definizione, consentendo di acquisire la necessaria consapevolezza per contrastarla sotto il profilo penale e anche sociale e culturale consentendo quell’interscambio di saperi che costituisce una ricchezza per tutti gli operatori del diritto, indipendentemente dal ruolo ricoperto, e per gli studiosi del fenomeno [20].
Il nuovo delitto, con l’indicazione nella fattispecie del termine donna come vittima di un’azione violenta diretta a limitarne la libertà “in quanto donna” consentirà anche di proseguire il percorso di modernizzazione del Codice penale, fondato originariamente su valori di un secolo or sono, ancorandolo a quelli costituzionali e delle fonti sovranazionali contro la discriminazione delle donne e la violenza ai loro danni. Se inizialmente la parola “donna” era addirittura esclusa dall’art. 575 c.p., venendo ricompresa nel cagionare “la morte di un uomo”, o era utilizzata per ridurre gli effetti sanzionatori ricollegandola al matrimonio o come oggetto sessuale o come donna incinta (artt. 522 e 523 c.p., ratto a fine di matrimonio e a fine di libidine, art. 526, seduzione con promessa di matrimonio, art. 533 ss c.p. sulla prostituzione, artt. 545 ss c.p. sull’aborto), con la espressa indicazione nella fattispecie di femminicidio viene riconosciuta come soggetto di diritto che va tutelato proprio in ragione del suo sesso e degli effetti derivanti dall’azione di sopraffazione o, comunque, di limitazione della sua libertà, fino a “sanzionarla” con la morte.
6. Alla luce delle considerazioni svolte, se si conviene sull’introduzione del delitto di femminicidio, l’apporto degli operatori del diritto e di chi studia questo fenomeno per meglio delinearlo in modo propositivo è utile e necessario, proprio per la novità e l’importanza della normazione. Diversamente mancherà un pur utile contributo.
In ogni caso, la politica – generalmente unanime su questi temi, come sulla criminalità organizzata – non va lasciata nel ruolo di protagonista delle esigenze che emergono dal contesto sociale e dalla sua evoluzione e trovano pieno riconoscimento anche nelle fonti sovranazionali.
7. L’opportuna scelta del disegno di legge consente un’adeguata riflessione sulla nuova disposizione, cui potranno essere apportate modifiche all’esito di opportuni approfondimenti, non solo per migliorarne, se ritenuto necessario, la tipicità (e prevedibilità), ma anche per meglio fare fronte a ulteriori obiezioni.
Alcuni cenni su temi che richiederanno adeguati approfondimenti, con particolare riferimento al rispetto dei principi di tipicità e uguaglianza.
L’indicazione dell’autore del delitto con “chiunque”, corrispondere ai principi della tipicità e alla varietà delle situazioni che dovrà esaminare la giurisprudenza, pur se l’ipotesi più frequente sarà quella dell’autore uomo, come insegna l’esperienza.
Il riferimento come persona offesa della “donna”, di per sé consente di ritenerne la rispondenza al principio di uguaglianza, in considerazione dei successivi richiami alla specificità della condotta omicidiaria ancorata alla sola appartenenza al genere femminile che, in quanto tale, è ritenuto di particolare offensività (come fenomeno criminale e sulla base dei dati su indicati). Rientrerà nell’art. 575 c.p. (in cui si potrà finalmente sostituire il termine uomo con persona) l’omicidio di una donna in contesti ordinari (ad esempio, nel corso di una rapina).
L’espressione “il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna”, da un lato, appare tipizzante perché richiama nozioni note al diritto penale (ad esempio, art. 604-bis c.p.), con la specificazione dell’essere diretti alla persona offesa “in quanto donna”, espressione che appare definita e comprensibile perché ancorata alle fonti sovranazionali, dall’altro potrebbe fare sorgere dubbi di costituzionalità, non considerando atti di odio e discriminazione ai danni di altri soggetti. Senza ripercorrere il dibattito sul cd. disegno di legge Zan[21], è sufficiente in questa sede sollecitare un adeguato approfondimento, pur se è evidente che l’appartenenza al genere femminile rappresenta una caratteristica ben precisa che può giustificare una maggiore e diversificata tutela, anche alla luce del dato statistico dei femminicidi. In ogni caso andrebbe guardata con favore l’introduzione di un’apposita aggravante diretta a sanzionare più gravemente uccisioni determinate da altre e specifiche ragioni di odio e discriminazione fondate sul genere o sull’identità di genere (omofobia, transfobia, etc.).
La condotta alternativa che consiste nel “reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità” ripercorre, in definitiva, la selezione delle condotte omicidiarie approfondite dalla Commissione femminicidio della XVIII legislatura[22] e che sono esaminate costantemente dalla giurisprudenza oggi nell’ambito delle aggravanti esistenti. Non un esame delle ragioni interiori che spingono l’autore del reato, ma una valutazione della condotta e del contesto discriminatorio e diseguale in cui questa avviene[23].
Naturalmente potrà procedersi ad ulteriori specificazioni nel corso del dibattito parlamentare.
8. Un cenno al tema, pure sollevato e di particolare rilievo, dell’incremento dei poteri e delle facoltà della persona offesa contenuto nel disegno di legge, in materia di patteggiamento, e comunicazioni. Senza entrare nel merito delle proposte di modifica, è sufficiente ricordare che si inseriscono nel solco del progressivo ampliamento di facoltà e diritti della persona offesa, specificamente in questa materia, frutto dell’applicazione della direttiva vittime 2012/29/UE e delle modifiche apportate dalle leggi nn. 69/2019 e 168/2023. Specificità riconosciuta dalla giurisprudenza per le vittime di questi reati, ad esempio dalla recente sentenza delle Sezioni Unite,12 dicembre 2024, n. 10869, sull’obbligatorietà dell’incidente probatorio per i reati previsti dall’art. 392, comma 1-bis c.p.p.
Va sottolineato che il tema delle facoltà e dei diritti della persona offesa vede una profonda divaricazione tra chi stigmatizza gli ampliamenti in atto, considerandoli estranei al monopolio punitivo dello Stato fondato sul giusto processo e sulla giusta pena, e chi guarda con favore la presenza della persona offesa nel procedimento/processo (e la sua prioritaria tutela quando vengono in rilievo beni come la vita o l’incolumità personale), in particolare dei reati in esame, in applicazione delle fonti sovranazionali, ferme restando, naturalmente le garanzie dell’indagato/imputato.
Colgono nel segno, invece, le critiche alla previsione dell’obbligo di esame della persona offesa da parte del pubblico ministero personalmente, se richiesto dalla persona offesa. Pur se sorprende positivamente il particolare favore con cui si guarda il pubblico ministero, come soggetto che evidentemente offre professionalità e garanzie perché parte pubblica, in contrasto con le continue critiche all’azione di questo organo, la norma è inapplicabile in assenza di adeguato incremento di risorse.
Sempre sotto il profilo pratico occorre rivedere l’incremento di pena previsto per le aggravanti introdotte che comporterebbero la competenza del tribunale collegiale, oggi già in difficoltà, e che rischierebbe la paralisi.
Un’attenta riflessione, infine, richiede la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere o degli arresti domiciliari che la Corte costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta solo in presenza di reati di particolare gravità, sicchè sembra quanto meno ultroneo farvi rientrare alcuni delitti puniti con pena massima non elevata (ad esempio, lesioni aggravate).
9. In conclusione, a fronte delle affermazioni sulla condivisione dell’azione di contrasto alla violenza ai danni delle donne, sarà utile un concreto confronto tra chi ha diverse opinioni ma, condividendo le ragioni dell’introduzione della nuova fattispecie, consenta di pervenire a un testo che assicuri il pieno rispetto dei principi propri del diritto penale, ben consapevoli che qualunque formulazione potrà essere criticata e che solo l’azione della giurisprudenza consentirà di delineare i principi applicativi e la tenuta costituzionale e sovranazionale.
[1] Si consenta il rinvio a P. Di Nicola Travaglini-F. Menditto, Il nuovo Codice Rosso, il contrasto alla violenza di genere e ai danni delle donne nel diritto sovranazionale, 27 ss., Milano, 2024, con ampia citazione di fonti sovranazionali, dottrina e giurisprudenza. Cfr. anche I. Merzagora, Il femminicidio e l'idealismo pervertito, in questa Rivista, 24 febbraio 2021.
[2] Cfr., per un esame critico delle nuove fattispecie, M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, in questa Rivista, 27 maggio 2024.
[3] Ad esempio, la l. n. 69/2019 ha aumentato le pene dei delitti previsti dagli artt. 572 e 612-bis c.p. e ha introdotto plurimi delitti (artt. 387-bis, 588-bis, 583-quinquies, 612-ter c.p.) di indubbia utilità e spesso richiesti dalle fonti sovranazionali.
[4] Marinucci, L’abbandono del codice Rocco: tra rassegnazione e utopia, in La questione crim., 1981, 308.
[5] G. Marinucci-E-. Dolcini, Manuale di diritto penale, Parte generale, sesta edizione, 16.
[6] G. Neppi Modona, Tecnicismo e scelte politiche nella ridorma del diritto penale, in Dem. e dir., 1977, 682
[7] Fiandaca-E. Musco, Diritto Penale, parte generale, settima edizione, pag. 29 ove si richiama la quasi unanime dottrina per cui “le indagini di tipo empirico, infatti, sono tendenzialmente le sole in grado di offrire dati probanti, da un lato, rispetto alla effettiva dannosità sociale dei comportamenti da incriminare e, dall’altro, circa la reale efficacia dei diversi strumenti sanzionatori adottabili”.
[8] Report del 2025 del Ministero dell’Interno, 8 marzo giornata internazionale della donna.
[9] Utili dati sono presenti nella Relazione sull’attuazione della l. n. 168 del 2023 nel circondario di Tivoli.
[10] Cfr., ISTAT, Rapporto BES 2023, Il benessere equo e sostenibile in Italia, ove si legge, ad esempio: “Come si vive, in Italia? Per più della metà degli indicatori, i dati sono disaggregati per genere. Ancora oggi, il loro andamento descrive lo svantaggio delle donne, soprattutto nel lavoro, nel benessere economico, e nella presenza negli organi decisionali.”.
[11] Cfr. A. Alvazzi Del Frate-M Nowak, Il femminicidio da una prospettiva globale Femicide in global perspective, in Rassegna italiana di criminologia n., 3 del 2013, e il citato Report dell’8 marzo 2025 del Ministero dell’Interno.
[12] La Corte di cassazione negli ultimi anni, anche alla luce delle modifiche normative (introduzione del termine convivente) e della lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata (in particolare, in forza della Convenzione di Istanbul), ha progressivamente rivisto la ratio della norma e il bene giuridico tutelato: l’art. 572 c.p. mira a proteggere l’integrità fisica e morale, la dignità umana e l’autodeterminazione della persona da condotte di sopraffazione di un familiare o convivente ai danni dell’altro. Perché la fattispecie possa dirsi integrata, non è affatto richiesta la sistematicità di condotte plurime, isolatamente inquadrabili come atti di violenza, ma è sufficiente che il comportamento dell'autore sia volto a comprimere la libertà e l'integrità della persona offesa, attraverso forme coercitive (fisiche, morali o economiche) che ne minano l'identità, la dignità o l'autodeterminazione (Cass. Pen., Sez. VI, 3 luglio 2023, n. 37978, in Ced Cass., n. 285273; Cass. Pen., Sez. VI, 12 giugno 2024, n. 23204/2024, ivi, n. 286616; Cass. Pen., Sez. VI, 8 luglio 2024, n. 32042, ivi, n. 286854).
[13] Si consenta il rinvio, in estrema sintesi a A. Cadoppi, Riflessioni critiche intorno alla nuova legge sulla violenza sessuale (l. n. 66/1966), in Critica del diritto, 1966, in cui l’autore conclude per un attento monitoraggio delle prassi applicative.
[14] P. Di Nicola Travaglini, Il ddl sul femminicidio ha un valore epocale, in Micromega/net, 21 marzo 2025.
[15] Cass. Pen., Sez. I, 1° febbraio 2021, n. 21097.
[16] Orientamenti in materia di violenza di genere, adottati il 3 maggio 2023, in questa Rivista, 4 maggio 2023.
[17] Relazione sulla risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia. Analisi delle indagini e delle sentenze. Il biennio 2017-2018, in questa Rivista, 11 gennaio 2022.
[18] P. Di Nicola Travaglini-F. Menditto, Il nuovo Codice Rosso, il contrasto alla violenza di genere e ai danni delle donne nel diritto sovranazionale, cit., 250 ss.
[19] . Di Nicola Travaglini, Il ddl sul femminicidio ha un valore epocale, cit.
[20] Cfr. Libro bianco per la formazione sulla violenza contro le donne, volume, curato dal Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità.
[21] Cfr. R. Bartoli, Costituzionalmente illegittimo non è il d.d.l. Zan ma alcuni comportamenti incriminati dall’art. 604-bis c.p., in questa Rivista, 12 luglio 2021.
[22] Relazione sulla risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia. Analisi delle indagini e delle sentenze. Il biennio 2017-2018, Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio della XVIII Legislatura (in particolare pag. 10), cit. Secondo la relazione “Sono due i requisiti costitutivi trasversali ai femminicidi: a) l’autore, uomo, forma la sua identità su una relazione di dominio (anche sessuale) e controllo (anche psicologico) su una donna/bambina, e la violenza nei confronti di questa gli serve a riaffermare e confermare il suo potere, anche pubblico e ostentato; b) la donna che decide di interrompere una relazione, espressamente o subdolamente violenta, viene uccisa perché, sottraendosi ai doveri di ruolo (uscire con le amiche, studiare, cercare un lavoro appagante, ballare, divertirsi, non occuparsi dei figli o della casa, avere altre relazioni, guadagnare più del partner, essere più intelligente e riconosciuta, ecc.), non solo viola una regola sociale e culturale, ma rende l’uomo che glielo ha permesso un perdente agli occhi della collettività. La sanzione diventa la morte”.
[23] Ad esempio, Corte assise Roma, 23.2.2022, dep. 4.5.2022, imp. B., inedita: “...In realtà L’IMPUTATO si è assunto il diritto di porre fine alla vita della sua compagna nel momento in cui aveva deciso di lasciarlo definitivamente, le ha negato il diritto di rendersi autonoma, di riprendere in mano la sua vita. LA VITTIMA avrebbe voluto una vita normale, una famiglia e un'attività lavorativa che le interessava, avrebbe voluto coltivare degli interessi al di fuori del contesto familiare, basti considerare che la sua unica attività di svago era la partecipazione al coro parrocchiale, mai condivisa e anzi anche questa osteggiata dall’IMPUTATO , che le faceva scontare i suoi timori dettati da una sindrome abbandonica farcita di misoginia, per questo VITTIMA doveva essere sempre sotto il suo controllo, interamente dedita a lui è alla FIGLIA”.