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  Scheda  
13 Giugno 2024


Quando la terapia del dolore sconfina nell’omicidio doloso del paziente

Cass. Sez. V, sent. 23 febbraio 2024 (dep. 8 aprile 2024) n. 14369, Pres. Pezzullo, Est. Giordano, imp. Cazzaniga



1. Principio e caso della sentenza. Di quale reato risponde il medico che, per accelerare la morte del paziente, pratica terapia del dolore al di fuori dei protocolli e senza il consenso del paziente?

Ecco subito la risposta della sentenza in commento: il medico risponde di omicidio doloso.

È il caso di un paziente che in Pronto Soccorso presenta insufficienza respiratoria acuta. Ha 81 anni, è cardiopatico e affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva e da tumore intestinale metastatizzato. Il medico gli somministra neurolettici e sedativi che ne accelerano la morte.

La difesa sostiene che il medico non ha voluto la morte del paziente, ma ha voluto alleviarne le sofferenze, accompagnandolo serenamente alla morte. L’opinione viene disattesa dalla sentenza, affermando che così si confonde il dolo, cioè la volontà di cagionare la morte, con i motivi dell’azione, che non possono trasformare il dolo in colpa.

Il caso fa parte di un gruppo di altri casi con analogo modus operandi, per i quali la Cassazione aveva già espresso lo stesso principio[1], confermando la condanna all’ergastolo inflitta nel giudizio di merito. Per il caso in esame aveva disposto l’annullamento con rinvio, ritenendo non sufficiente la prova che la morte fosse stata causata dai farmaci ipotizzati (midazolam, promazina e clorpromazina). Questa prova nel giudizio di rinvio si è poi affermata raggiunta, per l’esito degli esami del sangue della salma, evidenzianti quei farmaci e per le considerazioni dei periti sul determinismo letifero dei farmaci. Si è quindi riconfermata la condanna all’ergastolo, in continuazione con i reati già separatamente giudicati[2]. Contro la sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio, la difesa ha presentato il ricorso per Cassazione, sostenendo, come dicevamo, l’assenza del dolo di omicidio. E la Cassazione ha rigettato il ricorso con la sentenza in commento.

 

2. È condivisibile la sentenza? La sentenza è in una botte di ferro: come noto, l’art. 43 c.p. distingue espressamente dolo e colpa in ragione della volontà dell’evento: presente nel dolo e assente nella colpa.

Anche se la sentenza non qualifica il dolo, appare alquanto evidente che si tratta di dolo intenzionale. L’accelerazione dell’evento morte è appunto l’intenzione che muove il medico.

Non quindi dolo diretto, nel quale l’evento è accettato come conseguenza certa o altamente probabile della condotta[3].

Né tantomeno dolo eventuale, nel quale l’evento viene accettato come conseguenza meno probabile[4]. È noto quanto sia sofferta la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente[5], che nel diritto penale della medicina diventa davvero problematica quando il medico sa che la sua condotta è inosservante i protocolli. Occorre necessariamente fare perno su dati esteriori, perché, come icasticamente rilevato in dottrina, la doloscopia ancora non è stata inventata[6]. Può dare un valido aiuto la misura di divergenza della condotta tenuta da quella invece raccomandata dai protocolli: più ci si allontana da essi e più ci si avvicina al dolo[7]. E questo quantomeno in generale, potendo comunque essere presenti dati probatori del caso concreto che rendono non dirimente il criterio, ad es., le scadute condizioni cliniche del paziente, che lo rendono sensibile anche a una lieve inosservanza dei protocolli e possono quindi comunque orientare verso il dolo eventuale.

Quando coscientemente si naviga fuori dalla rotta dei protocolli e poi si naufraga perdendo il paziente, la responsabilità colposa non può fungere sempre da scialuppa di salvataggio: dipende dalle condizioni meteomarine. La colpa medica non è un diritto.

 

3. Quadro delle ipotesi di reato. La sentenza offre la ghiotta occasione per arricchire l’analisi con altre ipotesi di reato: omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e aiuto al suicidio (art. 580 c.p.). E si può arricchire anche con l’ipotesi di non punibilità.

Ecco il quadro sinottico.

Omicidio doloso se:

  • mancanza di consenso del paziente
  • inosservanza dei protocolli ex lege 38/10, che ha a oggetto cure palliative e terapia del dolore[8].
  • scopo di accelerare la morte.

Omicidio colposo se:

  • consenso del paziente
  • inosservanza dei protocolli
  • scopo di curare il dolore.

Invero il consenso del paziente potrebbe anche mancare. Infatti, la finalità terapeutica, in questo caso quella di curare il dolore, rende irrilevante la mancanza di consenso, che non influisce quindi sull’accertamento della responsabilità colposa. Questo secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dalle Sezioni Unite[9].

Omicidio del consenziente se:

  • consenso del paziente
  • inosservanza dei protocolli
  • scopo di accelerare la morte.

Il consenso del paziente è l’unico tratto distintivo dell’omicidio del consenziente con l’omicidio doloso, come emerge già da un testuale confronto fra l’art. 575 e 579 c.p.

Aiuto al suicidio se:

  • consenso del paziente
  • inosservanza dei protocolli
  • scopo di accelerare la morte
  • autosomministrazione dei farmaci da parte del paziente.

Solo l’autosomministrazione segna la distinzione con l’omicidio del consenziente. Infatti, secondo giurisprudenza, nell’aiuto al suicidio il processo causale è materialmente innescato dalla vittima, mentre nell’omicidio del consenziente è innescato dall’autore[10].

Non punibilità se:

  • osservanza dei protocolli di cui alla legge 38/10.

In questa ipotesi la sentenza del gruppo dei casi aveva ritenuto che il medico è non punibile, perché la condotta è scriminata. Senza però indicare quale scriminante opererebbe. Parrebbe adeguata l’adempimento del dovere di praticare la terapia del dolore, dovere posto dalla legge 38/10 e rilevante ex art. 50 c.p. Ma risulta molto più semplice ritenere il fatto non colposo, data l’osservanza dei protocolli, senza quindi scomodare improbabili scriminanti.

 

4. Pratica eutanasica? La motivazione della sentenza si conclude con queste parole: «La condotta dell'imputato si è concretata nell'abusivo esercizio di una pratica eutanasica».

L’etichetta “pratica eutanasica” non è essenziale ai fini della decisione. Eutanasia è termine ignoto al codice penale ed è quindi esorbitante dalla qualificazione giuridica del fatto. E l’uso del termine è in realtà anche impreciso per il linguaggio comune, che lo riserva invece ai casi nei quali vi è il consenso della vittima[11].

Tuttavia la sentenza non appare criticabile neppure per questo aspetto secondario, perché richiama a mente e cuore un aforisma clinico profondamente umano: «La malattia è inguaribile, ma il paziente è sempre curabile».

Del resto, questo corrisponde all’evidente ratio della legge n. 38/2010, che offrendo al paziente cure palliative e terapia del dolore, non mira a combattere la causa della malattia, ma le sue manifestazioni. È una disciplina legislativa di quando non si può più guarire. Disciplina senz’altro necessaria, perché, ancora in termini profondamente umani: «Quando non c’è più niente da fare, c’è ancora molto da fare».

 

 

 

 

[1] Cass. Sez. I, 48944-22, Cazzaniga, e Centofanti, p. Mogini, in Dir. Pen. Proc., 2023, fasc. 5, 655, con commento di G. Ponteprino, L'arbitrario esercizio di pratiche eutanasiche. Un'ipotesi di omicidio volontario dal difficile riscontro processuale.

[2] Corte d’Assise d’Appello Milano, 1° ago. 23, Cazzaniga, est. Centonze

[3] Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23618-16, Ganapini, est. Settembre, Ced Rv. 266915 - 01

[4] Cass. Sez. I, 16523-20, Romano, est. Magi, in Ced Rv 281385 - 02

[5] In argomento v. per tutti, G. Demuro, Il dolo, II, L’accertamento, Milano, 2010

[6] F. Iacoviello, Processo di parti e prova del dolo, in Criminalia, 2010, 464

[7] Sulla consapevolezza del medico di violare le leges artis nel dolo eventuale v. F. Giunta, Il consenso informato all’atto medico tra principi costituzionali e implicazioni penalistiche, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 408

[8] Questi protocolli prevedono una fase iniziale, la c.d. titolazione, nella quale avviene la somministrazione di dosi crescenti di farmaci sino al controllo del dolore e una fase di c.d. mantenimento, nella quale si somministra la dose raggiunta per garantire il controllo. E questo tenendo chiaramente conto dell’età del paziente e della sua anamnesi e condizioni cliniche.

[9] Cass. Sez. Un., 18 dicembre 2008 (21 gennaio 2009) n. 2437, Giulini, est. Macchia, in Giunta e altri, Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità, E.S.I., 2011. Per un’approfondita valutazione di questa giurisprudenza, v. Viganò, Commento all’art. 50 c.p., in Codice Penale commentato a cura di Marinucci e Dolcini, Vicenza, 2015

[10] Sez. I, 3147-98, Munaò, e. Vancheri, Ced Rv 210190: «Si avrà omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l'iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva; mentre si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria».

[11] Per una ricomprensione di diversi casi nella casella “eutanasia”, v. L. Masera, Delitti contro la vita, in F. Viganò - F. Piergallini (a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio. Trattato teorico pratico di diritto penale, diretto da F. Palazzo - C.E. Paliero, Torino, 2011, p. 50 ss.