ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
29 Aprile 2025


Osservatorio Corte EDU: febbraio 2025

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Edoardo Cipani (artt. 3, 4, 8, 10 e 14 Cedu) e Simona Anastasi (artt. 3, 6, 8 Cedu).

In febbraio abbiamo selezionato pronunce relative a: condizioni inumane e degradanti di trattenimento durante il processo penale (art. 3 Cedu); sfruttamento lavorativo e sessuale di persona incapace per infermità mentale (art. 3, 4, 8 e 14 Cedu); efficacia delle indagini per violenza sessuale (art. 3 Cedu); risarcimento del danno per ingiusta detenzione (art. 6 Cedu); acquisizione di informazioni private su giornalisti (art. 8 Cedu); acquisizione di un’intera casella di posta elettronica a fini investigativi (art. 8 Cedu); censura dei canali informativi indipendenti e repressione di manifestazioni di dissenso nei confronti del Governo (art. 10 Cedu); censura nei confronti delle attività di comunità online per la promozione e la tutela della diversità di genere e della libertà di orientamento sessuale (art. 8 e 10 Cedu).

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 11 febbraio 2025, Novaja Gazeta e altri c. Russia

Guerra in Ucraina – detenzione in gabbie metalliche e cabine di vetro durante le udienze – divieto di trattamenti inumani e degradanti – violazione

Come noto, il 24 febbraio 2022 la Russia annunciava l’avvio di un’“operazione militare speciale” comportante l’invasione armata del territorio ucraino. Pochi giorni dopo, il 4 marzo 2022 venivano approvate modifiche normative al codice penale e amministrativo russo, volte a sanzionare l’utilizzo di fonti non ufficiali nel riferire dell’operazione armata e a rendere reato “screditare” o “diffondere consapevolmente informazioni false” sull’impiego delle forze militari. I 178 ricorrenti individuali venivano condannati sulla base di questa nuova normativa, subendo procedimenti amministrativi, che conducevano all’applicazione di elevate sanzioni pecuniarie e di misure pre-detentive, e penali, che terminavano con l’irrogazione di pene fino a 25 anni di reclusione, per aver manifestato il proprio dissenso riguardo alla guerra o essersi semplicemente discostati dalle fonti ufficiali. I due ricorrenti collettivi, enti indipendenti di informazione (una testata giornalistica e un canale televisivo) veicolanti 168 ricorsi nel giudizio in esame, venivano obbligati a rimuovere i loro contenuti informativi sulla guerra, bloccando l’accesso ai loro siti web e revocandone la licenza di stampa. Sebbene i profili di maggiore interesse della pronuncia riguardino il diritto alla libera manifestazione del pensiero (v. infra sub art. 10 Cedu), i ricorrenti lamentavano altresì di essere stati trattenuti all’interno di gabbie metalliche o cabine in vetro strette e soffocanti per tutte le udienze di discussione del loro stato di detenzione. La Corte ravvisa la violazione dell’art. 3 Cedu (§ 137), limitandosi a richiamare i propri precedenti in materia (C. eur. dir, uomo, Grande Camera, 17 luglio 2014, Svinarenko e Slyadnev c. Russia, §§ 138-39; C. eur. dir. uomo, III sez., 4 ottobre 2016, Yaroslav Belousov c. Russia, §§ 125-28). (Edoardo Cipani)

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 27 febbraio 2025, X c. Cipro

Divieto di trattamenti inumani e degradanti - indagini inefficaci su una violenza sessuale di gruppo - chiusura delle indagini sulla base della ritrattazione delle accuse da parte della ricorrente, rilasciata in assenza di adeguate garanzie - violazione 

La ricorrente, una giovane donna inglese che si trovava in soggiorno a Cipro, aveva denunciato alle autorità locali di aver subito uno stupro da parte di un gruppo di giovani di origine israeliana e di esser stata filmata da alcuni di questi durante gli atti di violenza (§§ 11-12). Subito dopo la denuncia, le autorità locali avevano avviato le indagini. La ricorrente era stata sottoposta a visita medica, la stanza dell’albergo in cui erano avvenuti i presunti fatti era stata oggetto di ispezione ed era stato emesso un mandato di arresto per i dodici sospettati, nonché sequestrati i loro cellulari e raccolte dichiarazioni da diversi testimoni (§§ 23-25).  A distanza di dieci giorni, la ricorrente aveva rilasciato una nuova dichiarazione al fine di chiarire alcune incongruenze, rimanendo presso la stazione di polizia per diverse ore. Alle ore 1.15 della stessa sera, la ricorrente aveva ritrattato tutte le accuse mosse, affermando di aver raccontato il falso e di aver mentito dopo aver scoperto di essere stata filmata (§§ 52-53). Dopo la ritrattazione delle accuse sia la polizia che il Procuratore generale avevano sostenuto che le dichiarazioni della ricorrente non potevano ritenersi credibili, tenuto conto delle incongruenze presenti in esse e di alcune videoregistrazioni trovate nei cellulari che mostravano dei rapporti consensuali intercorsi tra la ricorrente e i sospettati, nei giorni precedenti (§§ 76-77). Inoltre, immediatamente dopo la ritrattazione, nei confronti della ricorrente era stata avviata un’indagine per aver commesso il reato di danneggiamento pubblico. Per tale accusa la donna era stata condannata in primo grado e assolta in appello, sulla base del fatto che la ritrattazione non era stata fatta con le adeguate garanzie e che nelle indagini non erano state valutate adeguatamente tutte le prove presenti (§§ 69-70) La ricorrente si rivolge, perciò, alla C.edu ai sensi degli art. 3 e 8 Cedu, sostenendo che le autorità nazionali non avevano eseguito delle indagini approfondite ed efficaci relative alla sua denuncia di violenza sessuale di gruppo. Lamenta, inoltre, che le autorità a capo delle indagini avevano ritenuto le sue dichiarazioni inaffidabili non considerando che erano state rilasciate in assenza di un traduttore o di un avvocato, e subito dopo aver subito un’esperienza traumatica (§ 96). La Corte europea ricorda che i principi rilevanti in tema di abusi sessuali commessi da privati sono stabiliti in MC c. Bulgaria, MGC c. Romania e più recentemente in X c. Grecia. La Corte ha aggiunto che, quando si tratta di atti gravi come lo stupro, l'obbligo positivo dello Stato ai sensi degli art. 3 e 8 Cedu di salvaguardare l'integrità fisica di un individuo può estendersi anche a questioni relative all'efficacia di un'indagine penale e alla possibilità di ottenere riparazione e risarcimento. Per essere efficace l’indagine deve essere sufficientemente approfondita, al fine di avere un’effettiva penalizzazione di qualsiasi atto sessuale non consensuale (§ 108). Secondo la Corte europea nel caso in esame le indagini sono state avviate senza ritardo, ma ci sono state diverse omissioni delle autorità. Infatti, queste sono state chiuse sulla base delle incongruenze contenute nelle dichiarazioni della ricorrente e sulla base della ritrattazione delle accuse, senza tenere conto delle circostanze in cui tali dichiarazioni erano state rilasciate, dopo un evento traumatico, in una condizione di vulnerabilità in quanto giovane donna in un paese straniero, in assenza di un avvocato o di uno psicologo (§ 122). Inoltre, l’autorità nazionale aveva deciso di archiviare il caso prima ancora che venissero analizzate delle prove decisive relative ai campioni di DNA e ai dati contenuti nei cellulari sequestrati. Cionondimeno, non sono state adeguatamente esaminate tutte le prove che avrebbero potuto indicare una mancanza di consenso (per esempio il consumo di alcol o sostanze stupefacenti, le tracce di sangue e le contusioni sul corpo della ricorrente, le incongruenze delle dichiarazioni degli indagati) (§ 117). La Corte ritiene che la credibilità della ricorrente sia stata valutata secondo stereotipi di genere e atteggiamenti di colpevolizzazione della vittima, in quanto le autorità si sono concentrate sulle attività sessuali precedenti il giorno del presunto stupro, suggerendo implicitamente che la ricorrente avesse dato il suo consenso anche nel giorno dei fatti denunciati. Nei numerosi colloqui, la donna ha poi dovuto sottoporsi a una nuova vittimizzazione. Infine, la Corte osserva che l’inefficacia delle indagini rischia di creare un contesto di impunità e di mancanza di fiducia nel sistema della giustizia penale da parte delle vittime di violenza di genere. Da qui la violazione degli art. 3 e 8 Cedu (§§125-126). (Simona Anastasi)

Riferimenti bibliografici: C. Pagella, Gli stereotipi come violazione di un diritto fondamentale: l’Italia condannata (ancora) per le discriminazioni di genere, in Riv. it. proc. pen., n. 2021, n. 3, p. 1149. 

 

 

ART. 4 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 27 febbraio 2025, I.C. c. Moldavia

Inserimento di una paziente psichiatrica in una famiglia – prestazione lavorativa non retribuita - divieto di sfruttamento del lavoro e di traffico di esseri umani – violazione

La ricorrente, cittadina moldava affetta da disabilità intellettiva, dopo aver vissuto per 24 anni all’interno di un istituto psichiatrico, nel 2015 veniva integrata nella famiglia di una coppia e portata a vivere nella loro fattoria, essendo stata scelta come futura moglie di uno dei dipendenti. Nel 2018 la stessa si dava alla fuga, denunciando di essere stata violentata ripetutamente dal proprietario e di non essere mai stata pagata per il lavoro ivi prestato. Adiva dunque la Corte, lamentando anzitutto la violazione dell’art. 4 Cedu, essendo stata mantenuta in condizioni di schiavitù senza ricevere alcun compenso. I giudici di Strasburgo, ripercorsa la nozione di traffico di esseri umani e le principali convenzioni internazionali poste a presidio della stessa (§§ 138-145), pur riconoscendo la generale adeguatezza della normativa moldava atta a punire il traffico di esseri umani,  ravvisano delle carenze strutturali nei meccanismi posti a presidio del reinserimento sociale di pazienti psichiatrici, in particolare con riferimento alla mancanza di sistemi di monitoraggio e di supporto dei servizi sociali atti a scongiurare il rischio che gli stessi risultino vittime di sfruttamento lavorativo (§§ 155; 159). Per queste ragioni, si ritiene che nel caso concreto ci fossero indicatori univoci del rischio di esporre la ricorrente al traffico di esseri umani o allo sfruttamento lavorativo, dimodoché risulta configurata una violazione dell’art. 4 Cedu. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: A. Galluccio, Tratta di persone e sfruttamento lavorativo: a Strasburgo si fa sul serio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1196 ss.

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 25 febbraio 2025, Gomes Costa c. Portogallo

Presunzione di innocenza – rigetto della richiesta di risarcimento danni per ingiusta detenzione, nonostante l’assoluzione nel processo penale - non violazione

Il ricorrente, accusato di stupro da una donna che, contattata tramite un annuncio online, si era recata in qualità di addetta alle pulizie presso l’appartamento dove lo stesso abitava, viene sottoposto a custodia cautelare in carcere, ma all’esito del processo viene assolto, per insufficienza di prove, in quanto non era stato dimostrato che lo stesso avesse costretto la donna a compiere l’atto sessuale, né fisicamente (non vi erano tracce di aggressione fisica) né psicologicamente, tramite minacce (§ 29). In seguito all’assoluzione, il ricorrente chiede un risarcimento del danno per la custodia cautelare subita, sostenendo che questa era stata illegittima e ingiustificata. Tuttavia, tale richiesta viene rigettata sia perché la misura era stata applicata da un’autorità competente, con adeguata motivazione, sia perché il ricorrente non aveva dimostrato di non aver commesso il reato (§§ 32-33). 

L’interessato adisce allora la C.edu asserendo che il rigetto della richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione era in contrasto con il principio della presunzione d’innocenza. A suo avviso, il giudice penale aveva comunque accertato che egli non era l’autore del reato. Pertanto, egli non era tenuto a dimostrare davanti al tribunale civile di non aver commesso il fatto. A tal proposito, la Corte osserva preliminarmente che l’art. 6 § 2 Cedu, oltre a proteggere il diritto di ogni individuo ad essere “presunto innocente”, garantisce anche che l’individuo assolto o il cui procedimento penale è stato sospeso o archiviato non possa essere considerato dalle autorità e in tutti i procedimenti collegati come colpevole del reato (§ 107). Tale secondo aspetto rileva nel caso di specie, in quanto il ricorrente appunto sostiene che il criterio previsto dalla legge nazionale – in virtù del quale in caso di assoluzione sulla base del principio in dubio pro-reo bisogna dimostrare comunque di non aver commesso il reato per ottenere il risarcimento dei danni per ingiusta detenzione - sia lesivo della presunzione di innocenza (§ 119). Tuttavia, secondo la Corte europea (che richiama il caso Nealon e Hallam c. Regno Unito), i tribunali nazionali, applicando tale criterio, non hanno messo in discussione la sentenza di assoluzione e non hanno attribuito alcuna responsabilità penale al ricorrente, piuttosto hanno esaminato solo le circostanze che hanno portato all’applicazione e al mantenimento della custodia cautelare. Per queste ragioni non è violato l’art. 6 § 2 Cedu (§§122-124). (Simona Anastasi)

Riferimenti bibliografici: benché in una diversa prospettiva, in argomento, cfr. L. Pressacco, Per un’integrazione “convenzionalmente orientata” della riparazione per l’ingiusta detenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, n. 1, p. 319 ss.

 

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 11 febbraio 2025, Novaja Gazeta e altri c. Russia

Guerra in Ucraina – acquisizione di informazioni private su giornalisti – rispetto della vita privata e familiare – violazione

Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al divieto di trattamenti inumani e degradanti v. supra sub art. 3 Cedu. Il ricorrente, editore di un media di notizie online, lamentava la violazione dell’art. 8 Cedu, avendo le autorità acquisito informazioni sulla sua residenza e sulla sua vita privata senza un’autorizzazione giudiziale. La Corte ravvisa la violazione dell’art. 8 Cedu (§ 137), limitandosi a richiamare i propri precedenti in materia (C. eur. dir. uomo, 15 luglio 2003, Ernst e altri c. Belgio, §§ 115-16). (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Ambiti di tutela della privatezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1745.

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 4 febbraio 2025, Klimova e altri c. Russia

Comunità online di promozione e tutela della diversità di genere e della libertà di orientamento sessuale – richiesta di informazioni private da parte dell’autorità pubblica – rispetto della vita privata e familiare - violazione

I ricorrenti, cittadini russi proprietari ed amministratori di siti web e gruppi social finalizzati a promuovere la tutela della comunità LGBTQ+ in Russia attraverso lo scambio di informazioni, l’assistenza di soggetti in difficoltà e la predisposizione di piattaforme di incontri, venivano condannati a sanzioni amministrative e – in alcuni casi – censurati mediante blocco dei siti web dalle autorità nazionali, con l’accusa di promuovere relazioni sessuali non tradizionali tra minori, così recando offesa ai minori stessi. Con riferimento al diritto alla vita privata, la ricorrente, attivista per i diritti delle donne e amministratrice di una comunità social a tutela dei diritti LGBTQ+, lamentava che le autorità domestiche, chiedendo al gestore della piattaforma le informazioni personali connesse al suo account e alla comunità di cui era amministratrice in assenza di un’autorizzazione giudiziaria per identificarla e sottoporla a sanzioni, avessero violato il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte, ribadita la natura aperta della nozione di vita privata tutelata dalla Convenzione (§ 100), e la legittimità delle sole interferenze poste dallo Stato nel rispetto dell’art. 8 § 2 Cedu, evidenzia come la protezione dei dati personali sia di importanza centrale per il pieno godimento del diritto alla vita privata e familiare. Per questo motivo i singoli Stati sono chiamati a farsi carico di predisporre adeguate garanzie atte a prevenire un utilizzo difforme dagli scopi della Convenzione (§ 107), assicurandone un impiego consapevole e scongiurando il rischio di abusi (§ 110). I giudici di Strasburgo evidenziano come, nel caso in esame, il sistema legale russo non consenta un adeguato livello di tutela circa il rischio di utilizzo abusivo dei dati personali degli utenti (C. eur. dir. uomo, III sez., 13 febbraio 2024, Podchasov c. Russia, §§ 69-75), non disponendo il ricorrente di alcun rimedio effettivo a fronte della trasmissione in favore dei servizi di sicurezza nazionale in assenza di un’autorizzazione giudiziale (§ 116). La suddetta ingerenza non può inoltre ritenersi necessaria in una società democratica, essendo connessa a violazioni amministrative di modesta gravità, peraltro intersecantesi con l’esercizio del diritto di libera espressione tutelato dall’art. 10 Cedu (§ 120). Per queste ragioni, si ravvisa una violazione dell’art. 8 Cedu. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliograficiF. Ertola, Ambiti di tutela della privatezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1745.

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 febbraio 2025, Macharik c. Repubblica Ceca 

Privatezza - acquisizione dell’intera casella di posta elettronica di una società nella quale sono conservate e-mail della ricorrente - ingerenza ingiustificata - violazione

Nell'ambito di un'indagine per reati tributari, l'autorità giudiziaria ordina a un fornitore di servizi di consegnare alla polizia tutti i dati esterni delle comunicazioni, nonché il contenuto delle e-mail indirizzate a una società il cui rappresentante legale risulta indagato. Alcuni dei messaggi acquisiti, tuttavia, riguardano la corrispondenza intercorsa fra un terzo (che li aveva inoltrati alla società) e la ricorrente. Da essi emerge la consumazione del delitto di evasione fiscale, reato per il quale la ricorrente viene, prima, indagata e, poi, condannata a una pena detentiva (§§ 5-10). Esauriti i rimedi interni, l’interessata si rivolge alla C.edu sostenendo che: sulla base delle leggi nazionali, il provider non avrebbe dovuto memorizzare e consegnare all’autorità giudiziaria il contenuto delle comunicazioni conservate nella casella di posta elettronica; la sua condanna si basava sull’acquisizione di prove ottenute illecitamente. In breve, la ricorrente lamenta l’ingerenza delle autorità nel diritto al rispetto della sua vita privata, tutelato dall’art. 8 Cedu, nonché la violazione dell’equità processuale ai sensi dell’art. 6 § 1 Cedu. Escluso quest’ultimo profilo, la Corte europea accerta invece la violazione dell’art. 8 Cedu. In proposito, il giudice sovranazionale ricorda preliminarmente che, in caso di intercettazioni di comunicazioni, la legge deve essere sufficientemente chiara nel fornire indicazioni circa le circostanze e le condizioni in forza delle quali le autorità pubbliche sono autorizzate a ricorrere a tali interferenze, per garantire all’individuo un’adeguata protezione contro ingerenze arbitrarie (§§ 30-32). Tanto premesso, la Corte osserva che l'acquisizione dell’intero account di posta elettronica della società, all’interno del quale erano comprese anche le e-mail della ricorrente, ha costituito un’ingerenza ingiustificata nella vita privata della stessa. Nella specie, i tribunali nazionali hanno fatto riferimento a tre disposizioni diverse come base giuridica per l’interferenza nella riservatezza delle comunicazioni e-mail della ricorrente, senza mai chiarire se il provider avesse il diritto di memorizzare e consegnare alla polizia il contenuto delle e-mail ai fini delle indagini. La Corte osserva che il diritto interno in vigore all’epoca dei fatti non era sufficientemente chiaro e coerente, di conseguenza l’ingerenza nei diritti della ricorrente non è stato conforme alla legge. Ne deriva la violazione dell’art. 8 Cedu (§§ 43-44). (Simona Anastasi)

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Conservazione e acquisizione di comunicazioni criptate, in Riv. it. dir. proc. pen., 2024, n. 2, p. 850 ss.

 

 

ARTT. 3 e 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 27 febbraio 2025, I.C. c. Moldavia

Inserimento di una paziente psichiatrica in una famiglia – obbligo di punire efficacemente violenze sessuali e di predisporre adeguate investigazioni - violazione

Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al divieto di traffico di esseri umani v. supra sub art. 4 Cedu. Nel caso esaminato, la ricorrente lamentava altresì una violazione degli artt. 3 e 8 Cedu, non avendo le autorità nazionali prestato una particolare attenzione nei confronti delle deposizioni di un soggetto vulnerabile, e non avendo lo Stato predisposto norme effettive a tutela della sua integrità sessuale. La Corte, ribadito come dagli artt. 3 e 8 Cedu discenda a carico degli Stati l’obbligo di predisporre disposizioni penali che puniscano le violenze sessuali e di applicarle attraverso investigazioni serie ed effettive che tengano conto della vulnerabilità delle persone coinvolte (§ 194), evidenzia come  i giudici nazionali, che non hanno ritenuto provati gli estremi della violenza sessuale, si siano limitate a valutare come non credibile la ricorrente per via della sua malattia mentale (§ 200), esaminando atti di indagine condotti senza tenere conto della sua condizione di vulnerabilità. Per queste ragioni ritiene integrata la violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 8 Cedu. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192 ss.; E. Zuffada, Da Strasburgo una sentenza pilota contro la Russia in materia di violenza domestica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 910 ss.

 

 

ART. 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 11 febbraio 2025, Novaja Gazeta e altri c. Russia

Guerra in Ucraina – censura dei canali informativi indipendenti – repressione di manifestazioni di dissenso - libertà di espressione – violazione

Per la ricostruzione dei fatti v. supra, sub art. 3. La persecuzione dei singoli per aver manifestato dissenso nei confronti della guerra e la chiusura dei canali informativi inducevano i ricorrenti a lamentare una violazione dell’art. 10 Cedu. Sul punto, la Corte, dopo aver ribadito le condizioni che giustificano un’interferenza a tale diritto ai sensi dell’art. 10 § 2 Cedu, ha riconosciuto come tutte le espressioni riportate rispondessero a un preminente interesse pubblico, posto che, trattandosi di un’aggressione armata ad uno Stato confinante con serie ripercussioni sulla sicurezza nazionale ed internazionale, il dibattito pubblico su temi di questa portata è essenziale in un paese democratico (§ 112). Venendo al contenuto delle espressioni di critica censurate dalla legislazione russa, i giudici di Strasburgo rilevano come le stesse non contengano alcuna incitazione all’odio e alla violenza, posto che riferirsi all’operazione militare con il termine “guerra” non è di per sé indicativo di un intento di critica particolarmente intenso (§ 113), così come l’utilizzo di immagini satiriche (quali, in ipotesi, la svastica nazista), seppur provocatorie, costituisce uno stimolo per l’opinione pubblica, rientrando anch’esse sotto l’egida dell’art. 10 Cedu (§115). Per quanto attiene invece alla libertà di stampa, la Corte evidenzia come le autorità domestiche si limitassero a definire fake news qualsiasi notizia che contraddicesse le fonti ufficiali, così minando il pieno diritto di ciascun cittadino di essere liberamente informato su crimini di guerra, peraltro oggetto di investigazioni internazionali (§ 117). In conclusione, i giudici di Strasburgo ravvisano l’esistenza di una strategia di sistema volta a sopprimere le opinioni dissenzienti e le critiche afferenti all’invasione russa dell’Ucraina, così determinando un evidente chilling effect per la libertà di espressione, oltre che un effetto intimidatorio per l’intera società civile (§ 118), effetti esacerbati dall’evidente sproporzione delle sanzioni singolarmente irrogate (§ 123). Per quanto riguarda, da ultimo, la chiusura dei media indipendenti, si osserva come tale condotta restringa significativamente l’accesso a fonti alternative di informazione su materie di preminente interesse pubblico, così esautorando la stampa dal suo ruolo di “cane da guardia” della democrazia (§ 124). (Edoardo Cipani)

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 4 febbraio 2025, Klimova e altri c. Russia

Comunità online di promozione e tutela della diversità di genere e della libertà di orientamento sessuale – censura delle autorità domestiche – libertà di espressione - violazione

Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi alla tutela del diritto alla vita privata v. supra, sub art. 8 Cedu. In relazione all’art. 10 Cedu, i ricorrenti lamentavano la violazione del loro diritto di libera espressione, non essendo rispettati i requisiti di legge previsti per le limitazioni di cui all’art. 10 § 2 Cedu. I giudici di Strasburgo, richiamati i principi generali formulati in tema di libertà di espressione su internet (C. eur. dir. uomo, grande camera, 15 maggio 2023, Sanchez c. Francia, § 122), ribadiscono come non sia giustificabile imporre restrizioni all’accesso dei minori alle informazioni sulle relazioni omosessuali, laddove tali limitazioni siano giustificate esclusivamente da ragioni connesse all’orientamento sessuale esplicitato e non da motivazioni inerenti al carattere potenzialmente lesivo delle informazioni sulla crescita e lo sviluppo dei minori stessi; le suddette restrizioni risultano radicalmente incompatibili con i principi di uguaglianza pluralismo e tolleranza, che innervano la struttura di una società democratica (§ 142). Ciò detto, la Corte esamina la normativa nazionale (che punisce la promozione di relazioni sessuali non tradizionali tra minori), già oggetto di un precedente arresto (C. eur. dir. uomo, III sez., 20 giugno 2017, Bayev e altri c. Russia), evidenziando come previsioni legali di questo tipo, la cui vaghezza semantica rischia di dare origine ad abusi nei singoli casi concreti, non servano a perseguire il legittimo obiettivo della tutela della morale, ma, al contrario, possano rivelarsi controproducenti per la tutela della salute e dei diritti altrui (§ 145). Per questi motivi, si ravvisa la violazione dell’art. 10 Cedu, ribadendo come la tutela della libertà di orientamento sessuale è uno dei pilastri su cui si regge la Convenzione. (Edoardo Cipani)

 

 

ART. 14 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 27 febbraio 2025, I.C. c. Moldavia

Inserimento di una paziente psichiatrica in una famiglia come promessa sposa – divieto di condotte discriminatorie - violazione

Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al divieto di traffico di esseri umani e all’obbligo di misure effettive a tutela delle vittime di violenza sessuale, vedi supra, sub artt. 4, 3 e 8. Da ultimo, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 14 Cedu, ritenendo di essere stata vittima di condotte discriminatorie in ragione della sua disabilità e del suo sesso. La Corte richiama anzitutto i principi elaborati in materia, secondo cui un trattamento discriminatorio censurabile può derivare non solo da una previsione legale ma altresì da una situazione di fatto (§ 213). Evidenzia poi come consentire che una paziente psichiatrica venga inserita in una famiglia al fine di essere data in sposa, e che la stessa effettui lavoro non retribuito, costituiscano manifeste violazioni dell’art. 14 Cedu (§ 221). (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192 ss.; E. Zuffada, Da Strasburgo una sentenza pilota contro la Russia in materia di violenza domestica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 910 ss.