Abstract. Il saggio ha lo scopo di dare una panoramica delle conseguenze che l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio rischia di imprimere sull’ordinamento penale vigente. Infatti, l’eliminazione tranciante di una fattispecie di chiusura a tutela della pubblica amministrazione potrebbe paradossalmente iperstimolare l’intervento penalistico, rischiando che la prassi giudiziaria distorca i confini tipici di altre fattispecie a presidio della p.a., come corruzione e peculato, per tentare di colmare le lacune di tutela lasciate dall’abolizione. Al contempo, la medesima crea inevitabili vuoti di protezione, soprattutto per ciò che concerne i comportamenti prevaricatori dei pubblici ufficiali che potrebbero rimanere in larga parte impuniti. La disamina, in definitiva, mira a dimostrare come l’abrogazione del reato di cui all’art. 323 c.p. costituisca un vero e proprio “cavallo di Troia”: un apparente gesto di distensione verso sindaci e dirigenti pubblici che, tuttavia, si ritorce contro gli stessi cittadini, disattendendo le legittime e comprensibili istanze liberali che avevano mosso l’intervento riformatore.
SOMMARIO: 1. Premessa metodologica e riferimenti in merito all’ultimo intervento legislativo sull’abuso d’ufficio ad opera del D.l. n. 76 del 2020. – 2. Note sulla (in)compatibilità con i principi sovranazionali. 2.1. La Convenzione di Merida delle Nazioni Unite del 2003. 2.2. La Proposta di direttiva dell’Unione Europea 2023/0135 (COD). 3. La vis espansiva dell’abrogazione: flessibilizzazione degli altri delitti contro la p.a. 3.1. Premessa. Il “cono di luce” dell’abuso d’ufficio. 3.2. Il primo caso: i delitti di corruzione. 3.3. Il secondo caso: i delitti di peculato. 4. La vis nociva dell’abrogazione: le lacune di tutela nell’ordinamento penale. 5. Rilievi conclusivi di ordine politico-criminale.
*Il contributo è stato sottoposto in forma anonima, con esito favorevole, alla valutazione di un revisore esperto.