ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
05 Ottobre 2024


Abuso d'ufficio (e concorsi universitari): a Firenze una seconda ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale

Tribunale di Firenze, Sez. GIP-GUP, ord. 3 ottobre 2024, giud. Gugliotta



1. Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale della l. n. 114/2024, nella parte in cui ha abolito il delitto di abuso d’ufficio. Si tratta, in ordine di tempo, della seconda ordinanza del Tribunale di Firenze che rimette la questione alla Consulta (per l’ordinanza precedente, clicca qui).

La questione è stata sollevata, in questa occasione, nell’ambito di un procedimento penale per diversi delitti contro la pubblica amministrazione, tra i quali l’abuso d’ufficio, relativo a illeciti contestati nell’ambito di concorsi universitari (vicenda mediaticamente nota come “Concorsopoli di Careggi e Meyer”).

Con argomenti analoghi a quelli spesi nella precedente ordinanza fiorentina, nonché nella memoria della Procura di Reggio Emilia (vicenda Bibbiano), che pure può leggersi nella nostra Rivista, il G.i.p. ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 97, 11 e 117 Cost.

 

2. In punto di ammissibilità, anzitutto, l’ordinanza richiama la giurisprudenza costituzionale che ammette il sindacato con effetti in malam partem allorché si tratti di c.d. norme penali di favore. Senonché, nel caso di specie a nostro parere viene in rilievo una legge più favorevole (abolitrice di un reato), ma non una norma penale di favore che, per definizione, è una norma speciale, che appresta un trattamento più favorevole rispetto a una norma generale. L’eccezione rilevante al divieto per la Consulta di sindacare le leggi penali con effetto in malam partem può essere argomentata, rispetto alla vicenda dell’abrogazione dell’art. 323 c.p., assumendo (come d’altra parte fa l’ordinanza allegata) l’esistenza di un obbligo di incriminazione.

 

3. Sviluppando un argomento presente nelle richiamate precedenti eccezioni e ordinanze di rimessione, il g.i.p. di Firenze individua tale obbligo di incriminazione nella Convenzione ONU contro la corruzione (Merida, 2003), parametro interposto ai sensi dell’art. 117, co. 1 Cost. Tale Convenzione impegna gli stati contraenti ad adottare standard minimi di tutela dei beni giuridici e a valutare, tra l’altro, l’incriminazione dell’abuso d’ufficio (art. 19), che all’epoca della ratifica della Convenzione era configurato come reato dall’art. 323 c.p. La tesi centrale è allora, con le parole del g.i.p. di Firenze, la seguente: “nell’ipotesi in cui l’ordinamento interno preveda già, al momento dell’assunzione dell’obbligo internazionale, una norma interna pienamente conforme a quella internazionale, sullo Stato contraente grava un vero e proprio obbligo di mantenimento della norma che prevede la fattispecie”.

Nel caso della Convenzione di Merida – prosegue l’ordinanza – “l’obbligo del mantenimento/non abrogazione delle norme interne preesistenti è peraltro espressamente previsto dall’art. 7, che, al comma 4, dispone che ‘Ciascuno stato si adopera, conformemente ai principi fondamentali del proprio diritto interno, al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse’".

Aggiunge poi l’ordinanza che “per la corretta comprensione del significato dell’espressione impiegata dall’art. 19 della Convenzione di Merida (“Each State Party shall consider adopting”) e, quindi, del suo contenuto e, soprattutto, per cogliere la sua portata obbligatoria e vincolante per lo Stato contraente, importante è il riferimento alla “Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention against corruption”, come già evidenziato atto di “interpretazione autentica” della Convenzione stessa, laddove ai punti ai punti 11 e 12 si chiarisce che l’espressione indicata nell’art. 19 della Convenzione di Merida, con riferimento all’abuso d’ufficio, colloca tale previsione non nell’ambito delle semplici raccomandazioni, bensì delle disposizioni aventi carattere obbligatorio”.

Torna quindi la tesi centrale: “appare del tutto logico…ritenere che le indicazioni discendenti dalla Convenzione di Merida vadano declinate diversamente a seconda del fatto che lo Stato aderente abbia o meno già adottato nel proprio ordinamento la fattispecie di abuso d’ufficio, in modo che laddove lo Stato contraente non abbia introdotto la fattispecie prima dell’adesione alla Convenzione di Merida, sarà tenuto a valutare concretamente e seriamente la sua introduzione in conformità al proprio diritto interno, dovendo compiere uno sforzo reale per vedere se essa sia compatibile con il proprio ordinamento giuridico; di talché, laddove tale compatibilità sussista, lo Stato contraente, onde intenda adeguarsi all’obbligo internazionale, sarà ragionevolmente tenuto ad introdurlo, mentre lo Stato contraente che, invece, come l’Italia, abbia già introdotto la fattispecie prima dell’adesione alla Convenzione di Merida e che abbia, dunque, già positivamente valutato la conformità della fattispecie rispetto al proprio diritto interno - dovendo mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse (art. 7, comma 4, Convenzione di Merida) - per adeguarsi all’obbligo internazionale di cui all’art. 19, sarà tenuto a non abrogare la fattispecie già vigente”.

 

4. Nell’ordinanza allegata c’è spazio anche per considerazioni relative al lamentato vulnus agli artt. 3 e 97 Cost. Evidente è il vuoto di tutela del buon andamento e dell’imparzialità della p.a. se solo si considera che, fuori dai casi di corruzione, falso o rivelazione del segreto d’ufficio, dopo l’abrogazione dell’art. 323 c.p. non vi è più una norma penale applicabile in caso di turbativa dei concorsi pubblici per il reclutamento del personale (nel caso di specie, di docenti universitari di medicina). La Cassazione ha infatti notoriamente escluso la configurabilità dei delitti di cui agli artt. 353 e 353 bis c.p. e l’abuso d’ufficio è stato, per l’appunto abolito. Di qui le considerazioni dell’ordinanza annotata, che segnala profili di irragionevolezza già emersi sia in giurisprudenza sia in dottrina.

Quanto ai rapporti con la turbativa d’asta (art. 353 c.p.) si osserva: “non si spiega per quale ragione, dovendosi garantire il buon andamento della Pubblica Amministrazione in settori ugualmente importanti come quelli dei pubblici incanti e dei pubblici concorsi, si sia scelto di non presidiare penalmente il corretto svolgimento dei secondi mantenendo, invece, la rilevanza penale dell’irregolare svolgimento dei primi; essendo, quindi, una stessa condotta di un pubblico ufficiale penalmente rilevante o meno a seconda della ricorrenza oppure dell’assenza di una procedura di evidenza pubblica. Alcune delle contestazioni mosse nell’ambito del processo in corso davanti a questo Giudice riguardano presunte condotte di elaborazione “su misura” di un bando di concorso, al fine di determinare la vittoria di uno specifico concorrente; ebbene, d’ora in poi tali condotte sarebbero prive di sanzione penale, con ogni conseguenza sul piano della prevenzione di importanti comportamenti illeciti lesivi di interessi generali”.

Quanto ai rapporti con l’omissione/rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), l’ordinanza ritiene irragionevole l’abrogazione dell’abuso d’ufficio considerando come perduri invece “la rilevanza penale di condotte che, oggettivamente, hanno una gravità equivalente o anche minore rispetto a quelle rientranti nell’art. 323 c.p.; ciò accade, ad esempio, per il reato di cui all’art. 328 c.p., che punisce una condotta omissiva posta in essere dagli stessi soggetti, ma dalla quale, seppur in specifici settori amministrativi, non derivi la conseguenza dell’ingiusto vantaggio patrimoniale o del danno ingiusto; la conseguenza paradossale della situazione venutasi a creare con l’abrogazione dell’art. 323 c.p. è quella di ritenere penalmente rilevante una condotta omissiva dalla quale derivino conseguenze anche meno gravi in luogo di una commissiva che sia realizzata in violazione di regole vincolanti di condotta di rango primario e dalla quali derivino le conseguenze considerate, nonostante, sul piano ontologico, vi sia una maggior incisività, quindi una maggior gravità astratta, di un comportamento attivo rispetto ad uno caratterizzato da mera inerzia; una scelta, questa, del tutto illogica”.

(Gian Luigi Gatta)