*Contributo pubblicato nel fascicolo 7-8/2024
1. Lo scorso 10 luglio la Camera ha definitivamente approvato il disegno di legge A.C. n. 1718, d’iniziativa del Ministro Nordio, attualmente in corso di promulgazione e di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. L’art. 1 del disegno di legge, oltre ad abrogare la norma incriminatrice dell’abuso d’ufficio, riscrive ampiamente disciplina del delitto di traffico di influenze illecite, di cui all’art. 346-bis c.p.
Letti congiuntamente, i due interventi restringono considerevolmente l’area del penalmente rilevante nel settore dei delitti contro la p.a., con esiti di parziale abolitio criminis rilevanti ai sensi e per gli affetti degli artt. 2, comma 2 e 673 c.p.p.
Per quanto riguarda il traffico di influenze illecite, cui dedichiamo queste brevi note a prima lettura, la fattispecie viene ridefinita in senso molto restrittivo, se non addirittura “sterilizzata”, con le parole utilizzate da Vincenzo Mongillo sulle pagine di questa Rivista.
Accade ora per il delitto di cui all’art. 346-bis c.p. qualcosa di simile, sul piano della tecnica politico-legislativa, a quel che è accaduto per l’abuso d’ufficio prima della sua definitiva soppressione (a proposito della quale v. sulla nostra Rivista, l’intervento di Massimo Donini). Come è noto, l’abuso d’ufficio ha vissuto una lunga tormentata storia, conclusasi con la morte a 94 anni dall’introduzione. Il traffico d’influenze è ben più giovane – ha solo dodici anni di vita (fu introdotto dalla legge Severino nel 2012) – ma è stato già riformulato due volte: nel 2019 dalla legge Spazza-corrotti del Ministro Bonafede e ora, nel 2024, dalla legge Nordio. Come accadde per l’abuso d’ufficio nel 2020 in occasione della sua ultima riformulazione (ad opera del Governo Conte), vengono introdotti per il traffico di influenze illecite nuovi “requisiti che ne determinano il soffocamento applicativo” (così si espresse nel 2020 Tullio Padovani a proposito della modifica dell’art. 323 c.p., in un folgorante commento pubblicato su Giurisprudenza Penale e intitolato Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio). Il passo successivo al soffocamento icasticamente evocato da Padovani è la morte, che forse il traffico d’influenze illecite eviterà perché, a differenza dell’abuso d’ufficio, è oggetto, come si dirà, di più solidi vincoli sovranazionali. Senonché, è molto probabile, per quanto vedremo, che a restare in vita sarà una fattispecie applicata in un ridottissimo numero di casi, ancor più considerando la base di partenza. Basti pensare che nel 2019 (dati più recenti che ci risultano disponibili online: vedi le tabelle a pag. 8 e 9 del documento al quale qui rinviamo) furono iscritti solo 88 procedimenti, le condanne furono 2, i patteggiamenti 5.
2. Come il lettore potrà vedere confrontando nel documento allegato i testi delle due versioni dell’art. 346-bis (attuale e imminente), cinque sono i lacci introdotti dalla legge Nordio per restringere l’ambito applicativo della fattispecie che, nonostante il ridotto numero di contestazioni, ha interessato e interessa vicende giudiziarie di indubbio rilievo (basti citare, tra gli altri, i casi Guidi, Arcuri, Palamara, Grillo, Alemanno, Verdini).
2.1. Primo laccio: le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente utilizzate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite). La legge Nordio comporta pertanto una parziale abolitio crimins, relativamente ai fatti commessi vantando relazioni asserite con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio. Una abolizione del reato che si estende, naturalmente, a chi ricorre al trafficante di influenze.
Va segnalato che, quanto ai fatti commessi prima della riformulazione del 2019, le Sezioni Unite con la recente sentenza n. 19357/2024 avevano affermato l’intervenuta abolitio criminis escludendo la continuità normativa tra il l’abrogato millantato credito ex art. 346, comma 2 c.p. e il traffico di influenze illecite. Secondo le S.U., i fatti di millantato credito ex art. 346, comma 2 c.p. possono peraltro integrare la truffa se e quando siano contestati e accertati gli elementi costitutivi di questa diversa fattispecie (anche nel giudizio di esecuzione, con esclusione della revoca delle sentenze passate in giudicato). Ora, dopo la nuova riformulazione del traffico d’influenze, a noi sembra possibile ribadire che i fatti commessi dal mediatore vantando relazioni asserite possono in via di principio conservare rilevanza penale se ricorrono gli estremi di una truffa (della quale andrà verificata la procedibilità, a seconda dei casi, a querela o d’ufficio). In questo senso si esprime anche la Relazione al disegno di legge Nordio. Senonché l’abolitio criminis sarà comunque inevitabile rispetto a chi dà o promette denaro o utilità al mediatore: una volta che la vicenda è attratta nello schema della truffa, costui ne è una vittima non punibile. Il che, come si dirà, contrasta con obblighi internazionali di incriminazione assunti dal nostro Paese.
2.2. Secondo laccio: l’utilizzazione delle relazioni deve avvenire “intenzionalmente allo scopo” di porre in essere le condotte che integrano la fattispecie delittuosa. Con una espressione inedita e tecnicamente infelice (come ha osservato anche Vincenzo Mongillo nel citato lavoro), il legislatore ha voluto restringere l’ambito di applicazione della fattispecie aggiungendo il requisito del dolo intenzionale in rapporto all’utilizzazione delle relazioni con il pubblico funzionario. Il mediatore deve pertanto agire proprio con l’obiettivo di utilizzare le proprie relazioni, cioè con una forma particolarmente intensa di dolo. In via di principio non saranno più punibili i fatti (anche pregressi) commessi senza il dolo intenzionale di utilizzazione delle relazioni. Senonché ci sembra non peregrino pronosticare che, nella prassi, questo nuovo requisito avrà una limitata capacità selettiva (in questo senso si è espresso anche Vincenzo Mongillo); già oggi lo sfruttamento delle relazioni del mediatore con il funzionario pubblico ha di mira proprio il traffico delle influenze.
2.3. Terzo laccio: l'utilità data o promessa al mediatore, in alternativa al denaro, deve ora essere economica. Ecco un altro profilo di abolitio criminis: non sarà più punibile il mediatore che fa dare o promettere a sé o ad altri un’utilità non economica, come ad esempio un rapporto sessuale, o vantaggi sociali o di natura meramente politica. Si torna a una formulazione analoga a quella dell'originaria versione dell'art. 346-bis c.p., che faceva riferimento al denaro o ad altro vantaggio patrimoniale; una formulazione che nel 2019 fu abbandonata per dare piena attuazione a obblighi internazionali di incriminazione di cui diremo oltre.
2.4. Quarto laccio: la mediazione c.d. gratuita viene limitata alla remunerazione del pubblico funzionario in relazione all’esercizio delle sue funzioni (e non più, anche dei suoi “poteri”). Rimane fuori dall’ambito applicativo della fattispecie, ed è oggetto di abolitio criminis, il fatto commesso in rapporto all’esercizio dei soli poteri e non anche delle funzioni. Sul piano applicativo, la rilevanza di questa modifica (forse limitata) passa attraverso la distinzione tra funzioni e poteri dei soggetti rivestiti di qualifiche pubblicistiche; una distinzione nota al sistema dei delitti contro la p.a. e che, per esempio, ritroviamo nella fattispecie di corruzione per l’esercizio delle funzioni ex art. 318 c.p. che si riferisce, appunto, all’esercizio delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale o (attraverso l’art. 320 c.p.) dell’incaricato di un pubblico servizio.
2.5. Quinto laccio: la mediazione c.d. onerosa viene limitata a quella commessa “per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio…a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito”. Il legislatore, senza farsi carico per l’ennesima volta di ciò che più serve – e, cioè, di introdurre una disciplina del lobbying, colmando così una lacuna che è da sempre il tallone d’Achille del traffico d’influenze – ha introdotto un’inedita definizione legale di “mediazione illecita” che riprende quella di recente proposta dalla Sezione VI della Cassazione nel caso Alemanno nel tentativo di precisare i confini applicativi della fattispecie.
Nella sentenza Alemanno, la Sezione VI della Cassazione aveva definito la mediazione illecita “quando è finalizzata alla commissione di un ‘fatto di reato’ idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”. La legge Nordio fa ora riferimento non in genere a un ‘fatto di reato’, bensì al compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato. La formulazione è dunque ancor più stretta di quella introdotta per via giurisprudenziale, che peraltro già lasciava problematicamente fuori dalla sfera del traffico d’influenze le condotte del mediatore dirette, tramite raccomandazioni, a orientare scelte di per sé lecite del pubblico funzionario, nell’ambito della discrezionalità amministrativa (es., questa o quella decisione, tra le più decisioni possibili, la scelta di questo o quel titolare per un incarico, ecc.), oppure dirette a compiere illeciti amministrativi.
Non basta, la nuova definizione legale più che un laccio sembra un capestro dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Il perché è presto detto: il traffico d’influenze presuppone, per espressa previsione normativa, che il fatto non integri un’ipotesi di corruzione; l’atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato integra molto spesso un abuso d’ufficio; con la contestuale abolizione di questo reato, la nuova definizione legale di mediazione illecita finisce pertanto per essere ancor più limitativa. Di certo molto distante da quella proposta dalla Sesta Sezione della Cassazione e recepita dalla stessa mano che, con un tratto di penna, ha cancellato l’abuso d’ufficio. Una mano, quella del legislatore, che peraltro ha trascurato un rilevante e non adeguatamente valorizzato passaggio motivazionale della sentenza Alemanno, nella quale si qualifica sempre come illecita la “mediazione qualificata” che vede protagonista, come trafficante, il pubblico agente.
3. Da ultimo, vengono estese al traffico di influenze illecite due cause di non punibilità: quella del ravvedimento postdelittuoso di cui all’art. 323 bis, co. 2 c.p. e quella della tempestiva e volontaria denuncia del fatto, di cui all’art. 323 ter c.p. A pesare (molto poco) sul piatto della bilancia opposto – quello cioè dell’inasprimento sanzionatorio – vi è l’aumento di soli sei mesi della pena minima edittale della reclusione, che passa da un anno a un anno e sei mesi, invariato restando il massimo edittale di quattro anni e sei mesi. Davvero poca cosa, non certo in grado di bilanciare il complessivo indebolimento di una fattispecie nata, sotto le spinte internazionali, quale avamposto nel contrasto alla corruzione e al malaffare nella p.a.
4. Vi è da chiedersi se le scelte del legislatore siano compatibili con i vincoli internazionali in materia e, pertanto, se sotto tale profilo siano prospettabili dubbi di legittimità costituzionale alla luce dell’art. 117, co. 1 Cost. (che, come è noto, vincola il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali).
A venire in rilievo sono la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione conclusa a Strasburgo nel 1999 (art. 12) e la Convenzione ONU contro la corruzione (art. 18) firmata a Merida nel 2003. Entrambe le convenzioni sono state ratificate dall’Italia, mirano a incriminare il traffico d’influenze illecite e presentano più profili di frizione con la nuova versione del reato introdotta dalla legge Nordio:
Va precisato che un vero e proprio obbligo convenzionale di incriminazione è previsto solo dalla Convenzione di Strasburgo del Consiglio d’Europa. È con questa che il legislatore sembra non avere fatto i conti, rispetto ai tre anzidetti profili di disciplina.
Quel che più colpisce, è che nei suoi ciclici rapporti di valutazione sull’Italia, l’organismo internazionale che presidia l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa – il GRECO, Group d’Etats contre la Corruption, del quale fanno parte anche rappresentanti italiani nominati dal Governo – già nel 2018 aveva ravvisato una difformità rispetto all’art. 12 della Convenzione nella parte in cui l’allora vigente disciplina italiana del traffico d’influenze illecite non dava rilievo a quelle meramente asserite, punendo anche colui che offre il vantaggio all’autore del traffico di influenza (cfr. il Terzo ciclo di valutazione. Addendum al secondo rapporto di conformità sull'Italia, § 30).
A seguito di questo rilievo, pur avendo opposto delle riserve all’art. 12 della Convenzione (v. il § 31 del citato Addendum), e facendole così venire meno, nel 2019 con la legge Spazza-corrotti l’Italia ha modificato l’art. 346-bis dando rilievo anche e proprio alle condotte millantatorie cadute sotto la lente del GRECO. Il GRECO, in un successivo rapporto del dicembre 2019, mostrava piena soddisfazione nei termini che qui si riportano testualmente (cfr. il Terzo ciclo di valutazione. Secondo Addendum al Secondo Rapporto di Conformità sull’Italia, §§ 26-28): “Il GRECO aveva preso atto delle modifiche introdotte [nel 2012, n.d.r.] nella legislazione nazionale per estendere l’ambito delle attività qualificate come reato di traffico di influenza. Tuttavia, rimaneva ancora una lacuna da colmare in quanto l’ordinamento italiano richiedeva l’esistenza di una relazione di influenza tra l’autore del traffico di influenza e il funzionario, mentre, ai sensi della Convenzione, a questo fine, è sufficiente che la relazione sia semplicemente asserita. Il GRECO ha richiamato le autorità a rettificare tale evidente differenza e ha ritenuto che la raccomandazione fosse attuata solo in parte. Le autorità italiane indicano che, sulla base della Legge n. 3/2019, oggi è qualificato come reato il traffico di influenza sia attivo che passivo, anche quando la relazione tra l’autore del traffico di influenza e il funzionario è asserita in modo fraudolento (articolo 1, comma 1, lettere s e t, Legge n. 3/2019). Il GRECO mostra apprezzamento per l’iniziativa presa dall’Italia al fine di allineare pienamente il reato di traffico di influenza con i requisiti di cui alla Convenzione penale sulla corruzione e conclude che la raccomandazione V è stata attuata in modo soddisfacente”.
Ora la legge Nordio compie all'improvviso un brusco dietrofront, che per i rappresentanti del Governo italiano sarà imbarazzante cercare di giustificare (se mai possibile) davanti al GRECO in occasione del prossimo ciclo di valutazione, che prenderà avvio l’anno prossimo. La relazione al disegno di legge d’iniziativa del Ministro Nordio si limita a dare atto di come nel riformulato art. 346-bis c.p. sia stata eliminata l’ipotesi della millanteria “che resta punibile ove ricorrano gli elementi costitutivi della fattispecie generale della truffa”. La Relazione al disegno di legge Nordio non si confronta dunque con i vincoli internazionali qui richiamati, né con i rapporti di valutazione del GRECO. E, soprattutto, mette tra parentesi il fatto che l’applicabilità della norma che punisce la truffa non soddisfa il vincolo convenzionale di punizione di chi ricorre al trafficante di asserite influenze.
4.1. Tirando le somme, a noi pare che nei procedimenti pendenti per traffico di influenze illecite – ovvero nei procedimenti che potranno essere avviati davanti al giudice dell’esecuzione per la revoca delle sentenze definitive di condanna ex art. 673 c.p.p. conseguente alla parziale abolitio criminis – il giudice chiamato ad applicare la nuova disciplina, dopo aver escluso la via dell’interpretazione conforme alla Convenzione di Strasburgo, resa impossibile dal nuovo tenore letterale dell’art. 346-bis c.p., potrà in relazione ai tre profili di contrasto sopra segnalati sub 4. sollevare questione di legittimità costituzionale invocando come norma-parametro l’art. 117, co. 1 Cost. e come norma interposta l’art. 12 della Convenzione di Strasburgo.
E’ vero che il principio di legalità osta a che la Corte possa ovviare alla mancanza di un’incriminazione conforme agli obblighi internazionali, estendendo la portata di norme incriminatrici, ma è anche vero che la Corte può dichiarare l’illegittimità costituzionale di norme che, in violazione di obblighi internazionali di incriminazione, come quello di cui all’art. 12 della Convenzione di Strasburgo, abroghino norme incriminatrici o, come nel caso della legge Nordio rispetto all’art. 346-bis c.p., ne restringano l’ambito di applicazione. In tale ipotesi, una pronuncia della Corte avrebbe come effetto la reviviscenza della norma incriminatrice di cui all’art. 346-bis c.p. introdotta nel 2019 dalla legge Spazza-corrotti proprio in attuazione di un obbligo di incriminazione[1].
E’ vero che si tratterebbe forse della prima pronuncia con la quale la Corte potrebbe essere chiamata a dichiarare costituzionalmente illegittima una legge che viene meno a un obbligo di incriminazione, dopo la sua attuazione ad opera di una precedente legge. Ma è anche vero, da un lato, che la Corte costituzionale ha in più occasioni e anche di recente dichiarato inammissibili referendum sulla disciplina penale degli stupefacenti proprio perché avrebbero comportato la violazione di obblighi internazionali di incriminazione (v., da ultimo, con richiami a precedenti pronunce, Corte cost. n. 51 del 2022) e, dall’altro lato, che quando nel 2014 con la sentenza n. 32 la Consulta dichiarò illegittima per violazione dell’art. 77 Cost. la legge Fini-Giovanardi del 2006, inserita nella legge di conversione di un decreto-legge sulle olimpiadi invernali a Torino, precisò in un obiter dictum quanto segue a proposito della reviviscenza della previgente disciplina penale in tema di stupefacenti: “è appena il caso di aggiungere che la materia del traffico illecito degli stupefacenti è oggetto di obblighi di penalizzazione, in virtù di normative dell’Unione europea. Più precisamente la decisione quadro n. 2004/757/GAI del 2004 fissa norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, richiedendo che in tutti gli Stati membri siano punite alcune condotte intenzionali, allorché non autorizzate, fatto salvo il consumo personale, quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali. Pertanto, se non si determinasse la ripresa dell’applicazione delle norme sanzionatorie contenute nel d.P.R. n. 309 del 1990, resterebbero non punite alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto dell’Unione europea, che l’Italia è tenuta a rispettare in virtù degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.” Analogo principio, a noi pare, potrebbe essere affermato in rapporto alla reviviscenza del testo dell’art. 346-bis c.p. che la legge Nordio si accinge a modificare. O, quanto meno, è una questione che potrebbe senz'altro essere posta alla Corte.
In punto di giudizio di ammissibilità di un’eventuale questione, d’altra parte, va considerato che la giurisprudenza della Consulta (v., tra le altre, Corte cost. n. 37 del 2019) ha individuato tra le eccezioni al divieto di sindacato delle norme penali con effetti in malam partem proprio “la contrarietà della disposizione censurata a obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell’art. 11 o dell’art. 117, primo comma, Cost. (sentenza n. 28 del 2010; nonché sentenza n. 32 del 2014, ove l’effetto di ripristino della vigenza delle disposizioni penali illegittimamente sostituite in sede di conversione di un decreto-legge, con effetti in parte peggiorativi rispetto alla disciplina dichiarata illegittima, fu motivato [come si è detto, n.d.r.] anche con riferimento alla necessità di non lasciare impunite «alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto dell’Unione europea, che l’Italia è tenuta a rispettare in virtù degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.»)”. Gli effetti di un eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina di favore introdotta dalla legge Nordio dovrebbero poi essere valutati alla luce dei noti principi affermati dalla Corte nelle sentenze n. 393 e 394 del 2006.
5. Merita una notazione finale la proposta di direttiva europea sulla lotta contro la corruzione, già segnalata in questa Rivista con contributi a commento di Marco Gambardella, di Lorenzo Salazar e Federico Clementucci. Questa proposta del maggio 2023 – che allo stato, in quanto tale, ha una valenza solo politica – prevede all’art. 10 un obbligo di incriminazione del traffico di influenze illecite e, al pari delle convenzioni di Merida e di Strasburgo, fa riferimento sia alle influenze presunte (e non solo esistenti), sia a qualunque vantaggio indebito (e non solo economico) e non limita il concetto di mediazione illecita così come fa ora il legislatore italiano.
Si profila dunque anche in sede UE un contrasto della nuova incriminazione, al quale in occasione dell’ultima riunione del Consiglio dei ministri della giustizia dell’U.E., un mese fa, si è evidentemente cercato di porre un limite proponendo al (nuovo) Parlamento europeo una modifica volta a non dare più rilievo alle relazioni solo presunte (v. la revisione dell’art. 10 della proposta di Direttiva). La riunione è la stessa in occasione della quale, come può vedersi in un video su Youtube, il Ministro Nordio ha perorato con successo la causa di una facoltà – e non già di un obbligo – di incriminazione dell’abuso d’ufficio, da parte della direttiva stessa. Analoga perorazione, verosimilmente, è stata condotta in rapporto al traffico di influenze. Senonché, a parte il perdurante profilo di contrasto con la proposta di direttiva relativo alla natura dell’utilità (solo economica nel nuovo art. 346-bis c.p.) e alla nozione di mediazione illecita, resta comunque il contrasto con la Convenzione di Strasburgo e il dato – che in sede Europea non potrà re melius perpensa essere ignorato – del possibile contrasto della proposta di direttiva europea con la Convenzione di Merida (alla quale l’UE ha aderito) e con la Convenzione del Consiglio d’Europa (alla quale pressoché tutti gli Stati membri hanno aderito).
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Morale. In un sistema multivello di contrasto alla corruzione, la tela dei vincoli sovranazionali è talmente fitta da rendere inopportune, da parte dei legislatori nazionali, modifiche che si rivelano, nella migliore delle ipotesi, poco meditate. E’ accaduto con l’abrogazione della norma incriminatrice dell’abuso d’ufficio, cui il Governo ha cercato di porre riparo conservando in vita, per decreto-legge, il peculato per distrazione per evitare la mancata attuazione della direttiva PIF; ed è accaduto, come abbiamo cercato di mostrare, anche con la modifica della norma che punisce il traffico di influenze illecite, anche in questo caso violando obblighi internazionali. Quando, come sempre più spesso avviene, le modifiche del sistema penale sono improvvise e non vengono adottate con i tempi e l’approfondimento propri dell’ordinario dibattito parlamentare – come riserva di legge vorrebbe – i rischi di incorrere in violazioni del diritto internazionale e della Costituzione sono evidenti. L'auspicio è che Governo e Parlamento ne tengano conto, in futuro.
[1] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, 13 ed., Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2024, p. 70 s.