Trib. Roma, Sez. VIII pen., ud. 30 novembre 2020, dep. 25 febbraio 2021, Pres. est. Roja
Pubblichiamo in allegato, per la rilevanza del tema, una sentenza del Tribunale di Roma in composizione collegiale che, a quanto consta, rappresenta tra quelle edite la prima decisione di merito a escludere l’abolitio criminis per i fatti di peculato integrati dall’omesso versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore prima del ‘decreto rilancio’ (d.l. 34/2020, in vigore dal 19 maggio 2020).
La questione, seguita da questa Rivista fin dai primi sviluppi, si è posta all’indomani della novità normativa citata, con cui il legislatore ha modificato la disciplina extra-penale del rapporto tributario avente ad oggetto l’imposta di soggiorno (c. 1-ter dell’art. 4 d.lgs. 23/2011), trasformando l’albergatore da ‘agente contabile’ – qualifica riconducibile alla figura dell’incaricato di pubblico servizio – a ‘responsabile d’imposta’ – soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, tenuto al pagamento in solido con il cliente alla stregua di un privato debitore, ormai non più capace di commettere il reato proprio di cui all’art. 314 c.p.
È noto come l’incidenza della riforma sui fatti pregressi, con perdita di rilevanza penale ai sensi dell’art. 2 c. 2 c.p., abbia ricevuto valutazioni divergenti in giurisprudenza: il quadro complessivo assestato a distanza di qualche mese restituisce infatti l’immagine di una latente contrapposizione tra l’opzione favorevole alla abolitio criminis, sostenuta da numerosi giudici di merito, in sede di cognizione o di esecuzione, e la tesi contraria affermata in almeno due sentenze di legittimità (nn. 30227 e 36317 del 2020). Interpretazioni alternative che esprimono essenzialmente posizioni diverse circa i criteri di accertamento dell’abolitio in presenza di una successione di leggi extra-penali (criterio ‘del fatto concreto’ vs criterio strutturale, applicato previa delimitazione del concetto di ‘norma integratrice’), e che si sono dovute confrontare con l’ulteriore complicazione teorico-pratica data dalla introduzione, ad opera dello stesso ‘decreto rilancio’, di un illecito amministrativo volto a sanzionare specificamente la condotta di omesso versamento dell’albergatore nella sua nuova veste privatistica. Anche il panorama dottrinale appare composito, a riprova della problematicità della questione, tanto che in parallelo al dibattito tra tesi favorevoli e contrarie alla abolitio è stata pure sostenuta l’opportunità di un superamento della controversia per via legislativa tramite amnistia.
Al netto di queste ultime suggestioni, ispirate anche da considerazioni di giustizia sostanziale, la sentenza in esame segna ora un passo verso l’allineamento della giurisprudenza di merito alle chiare indicazioni ricavabili dalle pronunce della Cassazione fin qui intervenute.
Nel caso che ci occupa, il Tribunale era chiamato a giudicare della responsabilità del legale rappresentante di una società titolare di un hotel sito in Roma, il quale secondo le pacifiche risultanze istruttorie da giugno 2018 e per circa un anno non aveva provveduto al versamento dell’imposta di soggiorno, per un totale di oltre 110.000 €, nei termini – “entro il sedicesimo giorno dalla fine di ciascun trimestre solare” – previsti dal regolamento comunale in materia, provvedendovi solo ad agosto 2019 a seguito di contestazione dell’ufficio competente.
Dopo aver ricostruito il fatto e il quadro giuridico rilevante, tanto precedente che successivo al ‘decreto rilancio’, e dopo aver ribadito la pacifica astratta configurabilità del delitto di peculato anche a fronte di condotte di ritardato (oltre che omesso) versamento, il Tribunale esamina il tema dal punto di vista del regime intertemporale.
Svolta una ulteriore premessa sui criteri di accertamento della abolitio criminis in caso di modifica favorevole di leggi a vario titolo richiamate dal precetto penale, i giudici ricordano la conclusione cui sono giunte notoriamente le Sezioni unite a partire dalla sentenza Magera (2007): alla stregua del c.d. criterio strutturale, di natura logico-formale, l’art. 2 c. 2 c.p. può trovare applicazione laddove la disposizione modificata abbia funzione integratrice rispetto alla fattispecie incriminatrice astratta, condizione insussistente per le disposizioni richiamate dagli elementi normativi del precetto penale, che invece costituiscono un presupposto per applicare la norma al caso concreto.
Questa appunto, secondo il Tribunale, la situazione verificatasi nella vicenda in esame, posto che la modifica di cui all’art. 180 c. 3 d.l. 34/2020 non ha inciso «né direttamente sull’art. 314 c.p., né indirettamente attraverso la modifica della norma definitoria di cui all’art. 358 c.p.».
La dimostrazione viene data citando un ampio estratto dell’analisi strutturale operata dalla Cassazione nelle pronunce sul tema, e in particolare le motivazioni della sentenza che più si è soffermata sul punto (n. 36317/2020, p. 13), a sua volta riecheggiando la dottrina contraria alla abolitio criminis. In quest’ottica, decisiva è la considerazione dei giudici di legittimità secondo cui, con la riforma del rapporto tributario, «il legislatore non ha inteso incidere su un “elemento strutturale” del delitto di peculato, ma è intervenuto modificando lo status di fatto del gestore rispetto alla tassa di soggiorno», mentre il nuovo illecito amministrativo non può ritenersi in continuità normativa con la fattispecie penale, trattandosi «di fattispecie tra loro eterogenee: l’una destinata ad operare in rapporto al vecchio regime dell’imposta di soggiorno – e alla qualifica pubblicistica dell’albergatore (e del denaro incassato) – l’altra in relazione al nuovo regime dell’imposta stessa – e alla qualifica privatistica dell’albergatore (e del denaro incassato)».
Conviene dunque anche il Tribunale sulla perdita di rilevanza penale dei fatti in esame solo pro futuro, dovendosi invece negare efficacia retroattiva alla modifica. Peraltro i giudici, richiamando ancora una volta la sentenza Magera, si preoccupano di presentare la soluzione adottata come una conferma, piuttosto che una deroga, del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., sul presupposto che nei casi di novazione di norma extra-penale non integratrice la modifica verrebbe a creare una situazione, di fatto e di diritto, diversa dalla precedente e dunque ben suscettibile di trattamento differenziato anche a fini punitivi.
Il Tribunale aggiunge infine il rilievo, «di natura sostanziale», secondo cui accogliere l’avversa tesi della abolitio criminis, in una con l’assenza di una disciplina transitoria che preveda la retroattività dell’illecito amministrativo, determinerebbe la totale impunità delle condotte pregresse – argomento che invero, a differenza dei precedenti, ci pare meno persuasivo, in quanto sembra comportare una inversione (o comunque una sovrapposizione) tra la ricostruzione tecnica della portata una modifica normativa e la valutazione dei suoi effetti, oltre che per il fatto di fare leva, in contrasto con le ragioni sottostanti la scelta del criterio strutturale, su un parametro valoriale, peraltro declinato a sfavore del reo.
In conclusione, il Tribunale ravvisa gli estremi, oggettivi e soggettivi, del delitto di peculato nella condotta appropriativa delle somme (aventi allora natura pubblicistica) che l’imputato, dopo averle ricevute dai clienti a titolo di imposta di soggiorno, aveva omesso di versare al Comune di Roma fino al momento del sollecito espresso, molti mesi dopo la loro percezione. Da segnalare come la sentenza ravvisi una violazione distinta per ciascun inadempimento dell’obbligo di pagamento trimestrale, ritenendo poi i reati unificati dal vincolo della continuazione; previo riconoscimento delle attenuanti generiche nonché dell’attenuante ex 62 n. 6 (non è specificato, ma sembrerebbe ai sensi della prima parte della disposizione, dato l’integrale pagamento del dovuto), viene quindi applicata la pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.