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03 Aprile 2025


La sentenza di condanna per peculato di Marine Le Pen e di altri esponenti del Rassemblement National: 4 milioni di euro usati per retribuire attività fittizie di assistenti dei parlamentari europei

Trib. Parigi, 31 marzo 2025, Delibera relativa al caso degli assistenti parlamentari fittizi del Rassemblement National



Pubblichiamo in allegato, per l’interesse, la sentenza con la quale il Tribunale di Parigi ha condannato Marine Le Pen. Il lettore troverà allegate la versione integrale in francese nonché una traduzione italiana di alcuni estratti, selezionati dal Dott. E. Bruti Liberati, che ringraziamo e del quale, nei prossimi giorni, pubblicheremo un commento che interesserà anche i risvolti che la condanna ha avuto nel dibattito pubblico italiano. Di seguito pubblichiamo sin d’ora una scheda di sintesi della sentenza francese redatta dal Dott. Mario Nicolini.

 

1. La sentenza del Tribunale di Parigi, allegata in lingua originale e, per estratti, in traduzione italiana, ha condannato Marine Le Pen ed altri esponenti del suo partito alla pena di 4 anni di reclusione e, soprattutto, alla sanzione accessoria dell’ineleggibilità per 5 anni, precludendone, di fatto, la possibilità di candidarsi alle elezioni presidenziali francesi del 2027. Dato il clamore internazionale della vicenda e l’interesse dei profili tecnici coinvolti, se ne propone al lettore una sintesi.

 

2. L’accusa, in punto di diritto, si è appuntata sulla violazione dell’art. 432-15 Code pénal, che punisce il peculato per distrazione comminando la pena di 10 anni di reclusione e la multa di € 1.000.000, aumentabile sino al doppio, a carico del depositario dell’autorità pubblica o dell’incaricato di un pubblico servizio o dell’agente contabile pubblico o del depositario pubblico o del suo subordinato, che distrugge, distrae o sottrae un bene pubblico, o fondi pubblici o privati, o titoli o documenti rappresentativi di detti beni o qualsiasi altro bene che gli è stato consegnato a causa delle sue funzioni o della sua missione (co. 1)[1].

In particolare, otto deputati europei oltre a Marine Le Pen, sono stati accusati di distrazione di fondi pubblici e dodici assistenti parlamentari di ricettazione di fondi di provenienza delittuosa. Quest’ultima fattispecie, al confine fra le nostre ipotesi di ricettazione (art. 648 c.p.) e riciclaggio (art. 648-bis c.p.), è prevista, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, dall’art. 321-1 Code pénal, in base al quale è punito con 5 anni di reclusione e la multa di € 375.000 chiunque, conoscendone la provenienza da crimine o da reato[2], nasconde, detiene, trasmette o funge da intermediario per trasmettere un bene di provenienza delittuosa; il co. 2 equipara all’occultamento anche il fatto di beneficiare consapevolmente, con qualsiasi mezzo, del prodotto di un crimine o di un reato.

 

3. Nell’agone processuale, le Difese degli imputati hanno sollevato ampie eccezioni ed argomentate eccezioni rituali, tutte disattese dal Tribunale. Di esse, considerando l’interesse del lettore italiano, ci si occuperà solo con riferimento a quelle più immediatamente impattanti sotto il profilo del diritto sostanziale, precisando soltanto che l’ordinamento processuale penale francese è ancora ispirato al tradizionale sistema misto, in cui all’istruzione retta dal giudice istruttore con metodo inquisitorio, segue il giudizio pubblico dibattimentale[3]. Volendosi, quindi, immaginare il contesto processuale in cui si sono calati i fatti, è utile collocarsi, con ampio grado di approssimazione, nell’ambiente del c.d. “garantismo inquisitorio” che ha caratterizzato anche la nostra esperienza dal 1955 al 1989[4].

 

3.1. Un’eccezione processuale rilevante è quella relativa all’incompetenza sostanziale del tribunale in applicazione dell’immunità giurisdizionale a tutela degli atti parlamentari: essa viene fondata sull’art. 26 della Costituzione francese del 4 ottobre 1958, in base al quale «nessun membro del Parlamento può essere perseguito, ricercato, arrestato, detenuto o giudicato in occasione delle opinioni o dei voti espressi da lui nell'esercizio delle sue funzioni» (co. 1)[5].

Nel rigettare l’eccezione, il Tribunale, che, è utile ricordarlo incidentalmente, in Francia non gode (o soffre) di “verginità cognitiva”, richiama la decisione della Sezione istruttoria, secondo cui l’immunità parlamentare ha la finalità oggettiva di consentire il libero esercizio del mandato elettorale, ma non sottrae i beneficiari al rispetto dei principi democratici. Ciò in quanto nessuna disposizione costituzionale o convenzionale conferisce al parlamentare un’impunità generale o assoluta, ma, anzi, l’alto compito di fissare le regole impone un maggior dovere di probità, tale che un’immunità generale ed assoluta costituirebbe una differenza di trattamento ingiustificata e contraria al principio di uguaglianza davanti alla legge.

Tale principio è, nell’ordinamento francese, consolidato ed indiscusso, recentemente ribadito dalla stessa Cour de cassation[6], secondo cui il principio della separazione dei poteri non impedisce alla giurisdizione ordinaria, investita di un’accusa di peculato per distrazione, reato posto a tutela della probità, di valutarne la sussistenza, in quanto tale fattispecie non è compresa nell’ambito applicativo dell’immunità di cui all’art. 26 Cost.

A fronte di tale precedente, la Difesa ha rinforzato la propria eccezione invocando il principio di insindacabilità dell’attività politica. Anche su questo punto, tuttavia, il Tribunale rigetta la prospettazione difensiva, chiarendo che nel caso di specie non è sindacata l’attività di assistente parlamentare, bensì viene valutato se gli assistenti parlamentari hanno lavorato per il loro partito mentre erano remunerati con fondi del Parlamento europeo, rendendo, perciò, fittizio, l’oggetto del proprio contratto di consulenza.

 

4. Veniamo ora ai profili di diritto sostanziale.

4.1. In primo luogo, la Difesa eccepisce l’inapplicabilità dell’art. 432-15 Code pénal al parlamentare europeo, ritenendo che essa costituirebbe un’analogia in malam partem, essendo la norma dettata con esclusivo riferimento ai deputati nazionali. Né, peraltro, si potrebbe invocare il già citato precedente di legittimità che ha ritenuto applicabile la fattispecie anche al parlamentare europeo, in quanto ciò violerebbe il principio di prevedibilità dell’incriminazione, essendo stato reso in epoca di molto successiva ai fatti contestati.

Sul punto, il Tribunale ricorda che almeno a far tempo dal Decreto del 19 settembre 1870 è cessata l’immunità quasi generale degli ufficiali eletti che sono, pertanto, soggetti al diritto processuale penale comune[7]. Perciò, i deputati europei, che, indubbiamente esercitano un’attività politica sul cui merito, in alcun modo, possono muoversi contestazioni, sono soggetti alla legge penale come tutti i cittadini.

Viene, inoltre, rigettata l’eccezione relativa alla pretesa violazione del divieto di analogia, ritenendo che l’espressa menzione degli agenti internazionali in talune disposizioni a tutela dell’integrità della pubblica amministrazione, sia servita solo ad uniformare l’ordinamento francese agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Bruxelles del 26 maggio 1997.

Il riferimento, cioè, ha avuto solo portata ricognitiva e non costitutiva di una nuova fattispecie di responsabilità.

Per le stesse ragioni, si considera altresì infondata l’eccezione relativa alla prevedibilità della sanzione: il principio fissato dalla Cassazione nel 2018, cioè dopo la commissione dei fatti contestati non è innovativo, ma meramente ricognitivo di un orientamento consolidato secondo cui l’art. 432-15 Code pénal è applicabile a tutti coloro che siano investiti di un mandato elettivo pubblico, ancorché tale categoria di agenti non sia espressamente prevista nel testo della disposizione[8].

 

4.2. Quanto alla sussistenza del reato, il Tribunale considera elemento decisivo ai fini del giudizio valutare l’esistenza o l’inesistenza di un’attività lavorativa svolta dagli assistenti parlamentari in esecuzione dei contratti di lavoro che li legavano ai parlamentari europei; si tratta, cioè, di ricostruire se i deputati accusati hanno pagato i loro assistenti con fondi europei e se tale pagamento sia riconducibile ad un’attività lavorativa effettivamente svolta o sia da considerarsi meramente fittizio.

Da questo punto di vista, si riconosce la natura necessariamente indiziaria del giudizio: il notevole lasso di tempo trascorso dalle condotte contestate, in alcuni casi superiore ai dieci anni, rende inesigibile la pretesa che ciascun parlamentare o assistente adduca elementi giustificativi in relazione all’attività svolta.

In linea generale, il Tribunale ricorda che l’indennità è corrisposta all’assistente parlamentare attraverso un sistema di rimborsi di spese anticipate entro un limite massimo annuale e non consiste in una somma forfettaria versata al deputato.

L’allocazione di detti fondi da parte del Parlamento europeo è condizionata all’effettiva esecuzione del contratto di collaborazione.

Dagli elementi raccolti nel corso dell’istruzione, si ritiene provato che i contratti non corrispondevano ad alcuna necessità propria dell’assistenza parlamentare ed erano privi di effettiva oggettività.

Gli assistenti, infatti, non hanno prestato alcuna collaborazione riconducibile al mandato di parlamentare europeo, svolgendo la propria attività solo al servizio del partito e, nel caso di un’assistente, alle dirette dipendenze della signora Le Pen: si è, dunque, trattato, di contratti oggettivamente simulati.

Né viene ritenuto meritevole di accoglimento l’argomento difensivo secondo cui si sarebbe trattato di una semplice messa in condivisione del lavoro degli assistenti: nessuno tra coloro che ha effettivamente collaborato con deputati europei, infatti, è stato tratto a giudizio.

Sono state, perciò, provate delle condotte di appropriazione indebita dolosamente preordinate a sgravare il Partito di oneri finanziari, e non certamente riconducibili a meri errori nella ricostruzione del regime amministrativo che regola le procedure di rimborso.

L’istruzione ha, inoltre, provato come tali condotte fossero riconducibili ad un sistema organizzato che ha portato alla dichiarazione di colpevolezza, in altro e precedente giudizio, di alti dirigenti del partito, tra cui il fondatore Jean-Marie Le Pen: sistema che, consolidatosi, si è protratto almeno a partire dal 2004, ed ha riguardato anche condotte precedenti e non contestate nel giudizio oggetto di esame, interrompendosi solo grazie all’intervento del Presidente del Parlamento europeo che ha denunciato i fatti alle autorità giudiziarie francesi.

Ciò, peraltro, ha trovato significativa conferma nelle dichiarazioni di un noto e storico esponente del partito, allora Front National, che ha ammesso come la formazione politica di cui faceva parte vivesse solo grazie a questo sistema di remunerazione che consentiva, attraverso il Parlamento europeo, di retribuire il personale del partito.

Dopo aver dato questa ricostruzione di contesto, il Tribunale si diffonde, nella propria motivazione ad enumerare i riscontri che, in punto di fatto, provano la natura fittizia dell’impiego europeo degli assistenti parlamentari, in realtà alle dipendenze degli organi dirigenti del Partito.

Trattandosi di ricostruzioni meramente fattuali, si può rimandare chi ne fosse interessato alla lettura della sentenza integrale: ciò che qui rileva è, in sintesi, che l’esistenza di un sistema messo in atto per remunerare i dipendenti del partito attraverso contratti fittizi di assistente parlamentare è ritenuto provato dal tribunale oltre ogni ragionevole dubbio.

Si è trattato, insomma, di pratiche organizzate per far sì che il Parlamento europeo si prendesse in carico persone che, in realtà, lavoravano alle dipendenze del Partito, attraverso una gestione accentrata dei rimborsi spese a favore dei deputati in modo che venisse garantito l’esaurimento della dotazione assegnata ad ognuno di essi per le spese di assistenza parlamentare, così eludendo, nei fini, il meccanismo sopra descritto dei rimborsi spese.

 

4.3. Quanto alle sanzioni, il Tribunale ricorda che, in base all’art. 132-1 Code pénal, il giudice deve esercitare la propria discrezionalità in funzione della gravità del reato e della personalità dell’autore, anche prendendo in considerazione la sua situazione patrimoniale, familiare e sociale.

Le sanzioni penali, sono, infatti, funzionali ad assicurare la protezione della società, prevenire la commissione di nuovi delitti e ristabilire l’equilibrio sociale anche in considerazione degli interessi delle vittime. Le pene hanno, inoltre, in base all’art. 130-1 Code pénal, funzione sia sanzionatoria che rieducativa in quanto devono sanzionare l’autore del reato, favorendone l’emenda e l’inserimento o il reinserimento sociale.

Ancora, l’art. 132-19 Code pénal guida la discrezionalità del giudice, stabilendo che egli può diminuire la reclusione comminata e che in materia di contravvenzioni, la pena detentiva non sospesa costituisce l’extrema ratio ed è applicabile solo se la gravità dell’infrazione e la personalità del reo la rendono necessaria e se ogni altra sanzione appare manifestamente inadeguata, dovendo, salvo un onere di motivazione particolarmente rinforzata, essere eseguita nel circuito extracarcerario.

Premessa tale ricostruzione generale, il Tribunale ravvisa che, in base alla cornice edittale per esso prevista, il peculato per cui è processo costituisce il più grave tra i reati contravvenzionali, a testimonianza della severità con cui il Legislatore ha inteso sanzionare tale reato.

L’introduzione alla parte relativa alle sanzioni appare, forse, al lettore italiano, in cui si marca la maggiore diversità rispetto all’ordinamento nazionale.

Come si è visto, infatti, il sistema francese espressamente prevede che considerazioni relative alla prevenzione generale e speciale siano considerate nella dosimetria sanzionatoria[9] e che alla finalità rieducativa si affianchi una funzione afflittiva espressamente definita come tale e funzionale anche alla soddisfazione degli interessi della vittima.

Si tratta, quindi, di un amplissimo margine di discrezionalità, stabilito dal Code, ed a rinforzo del quale si diffonde la più ampia parte della motivazione, secondo uno stilus curiae cui, certamente, non siamo avvezzi.

 

4.3.1. In relazione alla gravità del reato, il Tribunale ricorda che si è di fronte ad un sistema che ha consentito al Partito significativi benefici economici, finanziandosi indirettamente con fondi del Parlamento europeo, attraverso più di quaranta contratti simulati di assistenza parlamentare conclusi da undici eurodeputati e per effetto dei quali dodici persone hanno lavorato per il Partito stesso nel corso di tre legislature, distraendo più di 4.400.000 €, recuperati solo in minima parte (€ 1.100.000) tramite le procedure amministrative di ripetizione dell’indebito da parte del Parlamento.

Tale sistema si è articolato in più fasi tra loro successive: dapprima, nel corso della Sesta legislatura (2004-2009), si con un sistema familiare ed artigianale ordito da Jean-Marine Le Pen da cui è sortita la distrazione di circa € 1.500.000 da parte di quattro, poi in modo sempre più sistematico a partire dalle Settima legislatura (2009-2014), con il coinvolgimento anche dell’on. Marine Le Pen, definitivamente consolidatosi nell’Ottava legislatura (2014-2019).

 

4.3.2. Quanto ai ruoli ricoperti da ciascun protagonista di tale sistema, è qui sufficiente limitarsi a ripercorrere la motivazione riferita a Marine Le Pen, rimandando alla lettura integrale della motivazione per altri profili di eventuale e più specifico interesse.

Con riferimento a tale posizione, il Tribunale ritiene provato che la signora Le Pen si è inserita a pieno titolo e con ruoli apicali nel sistema messo a punto dal padre già dal 2004 e, con un ruolo più significativo, dal 2009, anno nel quale ha iniziato ad avvalersi della collaborazione di un esperto contabile, specializzato nei meccanismi dei fondi del Parlamento europeo, ed assunto come Agente per la riscossione dei rimborsi con l’incarico di gestirli in modo centralizzato sotto le direttive della stessa Le Pen, con l’obiettivo di distribuire i fondi in modo da esaurirne la massima capienza e senza alcun legame con le specifiche attività degli eurodeputati.

In relazione a tale posizione, si ritiene provata la responsabilità come autore principale i contratti simulati dell’ammontare di € 474.000 nell’arco di tempo compreso tra i 1 settembre 2009 ed il 14 febbraio 2016, e a titolo di concorso con il padre e con altri soggetti apicali per un ammontare complessivo di € 1.800.000 nel periodo di tempo compreso tra il 16 gennaio 2011 ed il 17 gennaio 2016[10].

In particolare, dopo essere diventata Presidente del Partito nel gennaio 2011, Marine Le Pen si è posta al centro del già collaudato sistema di rimborsi il cui elemento di frode è consistito, lo si ripete, nell’esaurire fittiziamente le capacità di spesa riconosciute a ciascun eurodeputato in modo da garantire significativi flussi di cassa che non corrispondevano ad attività istituzionali effettivamente svolte nell’ambito dell’incarico di assistente parlamentare, ma erano funzionali a finanziari i fabbisogni finanziari della formazione politica.

Tale responsabilità, conformemente a quanto riconosciuto anche dai Giudici istruttori, è ascritta anche al Rassemblement National nella sua veste di ente morale, come complice per istigazione e beneficiario dell’insieme delle distrazioni.

 

4.3.3. Quanto alle conseguenze del reato, il Tribunale, in disparte ogni considerazione sulla violazione dell’obbligo di probità degli eletti, le riconduce ad uno sviamento del funzionamento del sistema democratico, i cui principi fondamentali sono riassunti all’art. 4 della Costituzione del 4 ottobre 1958, che prevede che i partiti politici devono rispettare i principi della democrazia.

Tra questi, sicuramente quello della trasparenza finanziaria della vita politica, che è stato violato in ragione dell’ingiustificato arricchimento conseguito dal Front National, poi divenuto Rassemblement National, attraverso tale sistema fraudolento: ciò, a parere dei giudici parigini, ha determinato una violazione del principio di uguaglianza a favore dei rappresentanti del RN e del partito stesso, e a detrimento degli altri.

Tra le parti offese, si mette in evidenza, in primo luogo, il Parlamento europeo, la cui fiducia è stata tradita dall’utilizzo di mezzi sofisticati di appropriazione indebita al fine di distrarre fondi la cui destinazione sarebbe stata non quella di finanziare un partito ma di rafforzare la qualità del dibattito democratico, migliorando il patrimonio conoscitivo dei parlamentari.

Oltre all’istituzione, ad essere leso è stato anche il corpo elettorale europeo nel suo legittimo affidamento verso le istituzioni dell’Unione e, più nello specifico, verso il rispetto dei valori proclamati dall’art. 2 del Trattato sull’Unione europea in rapporto ai principi di democrazia, uguaglianza e stato di diritto.

Tali fatti, a parere dei giudici, hanno determinato una violazione grave e duratura delle regole democratiche, sia sul piano europeo che interno. Essa è ritenuta particolarmente grave in quanto portata avanti, con cinismo e determinazione, da un partito politico che rivendica la sua opposizione alle istituzioni europee, dei cui meccanismi ha, invece, fraudolentemente beneficiato.

 

4.3.4. Alla luce di tali considerazioni, viene affrontato il tema della pena accessoria dell’ineleggibilità, la cui esecuzione provvisoria ha dato adito a maggiori discussioni e polemiche, richiesta nella sua forma immediatamente esecutiva già del Pubblico ministero all’udienza del 13 novembre 2024. Essa è prevista come obbligatoria dall’11 dicembre 2016: che non lo fosse all’epoca dei fatti non vincola il giudice nell’esercizio della sua applicazione, per l’appunto, discrezionale, ma, anzi consente di ritenere che il Legislatore abbia adottato un coerente indirizzo di politica criminale orientato a sanzionare le mancanze di probità per ripristinare la fiducia dei cittadini nei confronti degli agenti pubblici.

La funzione di tale sanzione è ricondotta alla necessità di migliorare l’adeguatezza della risposta sanzionatoria, e garantire l’esemplarità delle istituzioni anche in funzione del ristabilimento della fede pubblica.

Proprio il ruolo esemplare delle pubbliche istituzioni è particolarmente richiamato dal Tribunale ed elevato a principio generale, in base al quale i valori costituzionali dell’uguaglianza devono essere pienamente rispettati. Da ciò il corollario indefettibile di esigere che i responsabili pubblici rispettino le regole generali e che i comportamenti individuali contrari ai doveri di probità trovino la loro giusta sanzione, in quanto idonei a screditare nel suo insieme la credibilità dell’azione pubblica.

Sulla base di queste esigenze, il Legislatore ha progressivamente inasprito, in epoca successiva ai fatti oggetto del processo, il regime dell’incandidabilità: il Tribunale ritiene che esse debbano, in ogni caso, essere considerate anche in una prospettiva diacronica in quanto espressive di principi generali riconducibili al corretto funzionamento dello stato di diritto.

Da ciò la legittimità di una limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo: è vero che l’incandidabilità impedisce ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti, ma ciò è ritenuto giusto e non lesivo del principio di separazione dei poteri, in quanto funzionale a garantire l’integrità del funzionamento della vita pubblica.

Nel caso di specie, i reati sono stati commessi nell’esercizio di un mandato elettivo pubblico e hanno costituito una violazione delle regole del gioco democratico a scapito del corpo elettorale unitariamente considerato.

Proprio per queste ragioni, appare necessaria una pronuncia (facoltativa) di ineleggibilità nei confronti degli imputati per rispondere alla doppia funzione punitiva e dissuasiva che la legge attribuisce alla sanzione penale: ciò, con varie modulazioni dipendenti dalla responsabilità di ciascuno, sia nei riguardi di coloro che svolgevano incarichi parlamentari, sia ai fini assistenti che sono comunque rimasti stabilmente inseriti nella struttura del partito.

 

4.3.4.1. Anche sull’’esecuzione provvisoria, richiesta dal Pubblico ministero per tutti gli imputati, ci si soffermerà sulla posizione relativa a Marine Le Pen, la cui Difesa, nell’ambito della discussione orale in udienza, ha ampiamente argomentato in senso contrario, sostenendo, oltre al resto, che ciò avrebbe determinato un pregiudizio irreparabile ai diritti di elettorato passivo, arrivando addirittura a riferirsi ad essa come ad un “assassinio politico”.

Le conseguenze che deriverebbero da tale applicazione sono considerate dal Tribunale che, con accenti che difficilmente troveremmo replicati al di qua delle Alpi, anzi, esplicitamente riconosce la difficoltà in un contesto nel quale le decisioni devono essere assunte nel nome del popolo francese, ammettendo la necessità di interpretare la legge senza ignorare l’esigenza di ricercare una forma di consenso sociale, che, tuttavia, non deve essere confuso con il consenso di una sola classe, come sarebbe, ad esempio, la classe politica che beneficerebbe degli effetti delle decisioni.

Viene ricordata, altresì, la centralità del principio di eguaglianza come pilastro della democrazia, in ragione del quale gli eletti non godono di alcuna immunità, avendo il Legislatore previsto per essi severe comminatorie edittali per condotte del tipo di quelle qui sottoposte a giudizio.

Così opinando, accogliere l’argomento della Difesa, ossia rimettere ad un’ipotetica sanzione “elettorale” il giudizio sulle conseguenze dei fatti commessi, comporterebbe riconoscere una forma di immunità atipica non prevista dalla legge e contraria al principio di uguaglianza: solo il Giudice, dunque, può e deve valutare, esercitando la propria motivata discrezionalità entro i parametri di legge, l’immediata esecutività della pena accessoria, nel rispetto del principio di proporzionalità in bilanciamento con il principio della tutela giurisdizionale effettiva e della presunzione di innocenza.

Rispetto a tale bilanciamento, viene richiamata la giurisprudenza del Consiglio costituzionale, secondo cui il principio di effettività dell’esecuzione della pena è un valore di interesse generale; viceversa, seppur è vero che la natura sospensiva del ricorso costituisce una garanzia del principio di tutela giurisdizionale, essa non corrisponde ad un’esigenza costituzionale. Allo stesso modo, anche la Cour de cassation ha ritenuto che il diritto ad un ricorso effettivo sia da intendersi solo come diritto di accedere alla tutela giurisdizionale, senza che ciò implichi la necessità di rendere possibile ogni forma di ricorso o la sospensione dell’esecuzione delle sanzioni inflitte.

Tale giudizio, infatti, deve collocarsi in un quadro di bilanciamento più ampio che tenga insieme ragionevolezza, proporzionalità, effettività e buona amministrazione della giustizia, considerando altresì che la facoltà di ordinare l’esecuzione provvisoria corrisponde all’interesse generale di favorire l’esecuzione della pena e prevenire la recidiva. È, inoltre, solo il Giudice del caso concreto che può valutare se, a fronte della provvisoria esecutività, la sua natura non sospensiva renda il ricorso un rimedio sufficientemente adeguato a bilanciare i diritti della difesa con gli obiettivi di valore costituzionale della salvaguardia dell’ordine pubblico e della buona amministrazione della giustizia.

Rispetto al pericolo di recidiva, il Tribunale attribuisce un forte valore sintomatico all’assenza di ammissione degli addebiti che, anzi, si è risolta in una rivendicazione di impunità.

Infatti, dieci anni dopo la commissione dei fatti, nessuno tra gli imputati ha preso coscienza delle violazioni di legge commesse né si è mostrato consapevole delle esigenze di probità ed esemplarità cui sono tenuti tutti gli eletti. Tutti loro, inoltre, hanno esercitato in modo particolarmente ampio i loro diritti difensivi di contraddittorio, inoltrando ricorsi puntualmente rigettati sia da Giudici istruttori, sia da Sezioni istruttorie, sia dalla Cassazione. Anzi, diversi imputati, tra cui Marine Le Pen, hanno reiterato eccezioni di nullità tendenti a far dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione, sostanzialmente rivendicando una forma di impunità, e ponendosi in diretto e consapevole contrasto con la giurisprudenza consolidata.

La Difesa, insomma, si è mossa nel senso di rivendicare un’impunità totale ed assoluta in base al rilievo che gli assistenti parlamentari avrebbero svolto un lavoro politico inscindibilmente connesso al mandato del loro deputato a vantaggio del Partito.

A parere del Giudice parigino, si tratta, insomma di una linea difensiva particolarmente censurabile, e censurata con toni invero piuttosto sorprendenti per il lettore italiano, finalizzata a rivendicare continuamente una forma di impunità, in spregio alla legge e alla giurisprudenza consolidata. Tale impostazione, a parere del Tribunale, mostre che gli imputati, principalmente tutti di estrazione giuridica quanto al loro percorso formativo, hanno una concezione poco democratica dell’esercizio del potere politico e delle esigenze e responsabilità che ad esso si collegano.

Sempre motivando sul pericolo di recidiva, si svolgono ulteriori argomentazioni rispetto ad un impianto difensivo ritenuto ordito a dispetto della manifestazione della verità, con reiterate negazioni di fatti evidenti e plurime eccezioni processuali meramente dilatorie più orientate ad evitare il contraddittorio che a prendervi parte.

Si ritiene, perciò, oggettivamente provato il pericolo di recidiva, anche in considerazione del fatto che molti imputati, tra cui la signora Le Pen, esercitano attualmente mandati elettorali e sono intenzionati a ricandidarsi, con ciò lasciando persistere il rischio di una reiterazione nell’utilizzo fraudolento di fondi pubblici, che solo l’esecuzione provvisoria è in grado di prevenire.

Quanto al canone di buona amministrazione della giustizia e salvaguardia dell’ordine pubblico che, come già ricordato, rientra nel giudizio di bilanciamento a cui deve orientarsi la scelta sull’esecuzione provvisoria, il punto centrale è ravvisato nell’assenza di effetti sospensivi dell’eventuale ricorso: si deve, cioè, decidere se l’esecuzione provvisoria, non sospesa da un eventuale ricorso in appello, non sia una compressione eccessiva dei diritti degli imputati.

Infatti, se fosse dichiarata l’esecuzione provvisoria, il rischio sarebbe di privare gli imputati di un possibile risarcimento in forma specifica, in quanto essi verrebbero privati del loro diritto di elettorato passivo prima dell’accertamento definitivo della loro responsabilità. Per converso, non dichiarare l’esecuzione provvisoria comporterebbe il rischio che soggetti eventualmente responsabili de repetundis, per gravi reati in relazione ai quali l’ordinamento vigente impone l’ineleggibilità, si troverebbero ad occupare importanti uffici pubblici.

Sul punto, il Tribunale fa prevalere il valore costituzionale dell’esecuzione della pena, applicando, in chiave cautelare, l’esecuzione provvisoria, al fine di evitare un danno irreparabile all’ordine pubblico democratico e ritenendo che tale misura sia oggettivamente proporzionata agli obiettivi costituzionali dell’ordine pubblico e della buona amministrazione della giustizia da salvaguardare.

 

4.4. Con specifico riguardo alle responsabilità di Marine Le Pen, il Tribunale la colloca al centro del sistema a partire dal 2009, essendo succeduta al padre Jean-Marie Le Pen nel ruolo di guida del partito, dando un contributo di primo piano nel predisporre i sistemi di ottimizzazione fraudolenta dei rimborsi che hanno consentito al FN/RN di beneficiare di indebiti risparmi.

Ella, accampando la giustificazione che il RN, come partito di opposizione, sarebbe sostanzialmente escluso dal lavoro parlamentare svolto in sede europea, ha tentato di legittimare l’istituzione del sistema fraudolento di finanziamento del partito, mostrando di non riconoscere la responsabilità che accomuna, a far tempo dal 1870, gli ufficiali eletti a tutti gli altri cittadini.

Né durante l’istruzione né nel corso del dibattimento si è mostrata consapevole dei particolari doveri di probità che su di lei incombevano, minando con le proprie condotte sia la fiducia dei cittadini nella trasparenza della vita pubblica sia gli interessi del Parlamento europeo.

Per questi motivi, è pronunciata a suo carico la condanna alla pena di quattro anni di reclusione, di cui due anni con sospensione condizionale e altri due anni da eseguire in forma di detenzione domiciliare con sorveglianza elettronica, ritenendosi qualsiasi altra sanzione non sufficientemente dissuasiva e palesemente inadeguata. In aggiunta, è irrogata la multa per € 100.000, proporzionata alla gravità dei fatti e alla sua condizione finanziaria.

Infine, per la gravità dei fatti commessi nella sua doppia veste di deputata e presidente del Partito, le viene applicata la pena accessoria dell’ineleggibilità per la durata di 5 anni, in considerazione dell’irreparabile danno cagionato all’ordine pubblico, da applicare immediatamente per prevenire il pericolo di recidiva reso particolarmente qualificato anche dalla sua decisione di ricandidarsi per le elezioni presidenziali del 2027.

 

 

[1] Il co. 2 prevede la fattispecie aggravata del reato commesso attraverso un’organizzazione, comminando la multa di € 2.000.000 o il doppio del ricavato se esso supera tale importo, mentre il co. 3 equipara, quanto al trattamento sanzionatorio, il tentativo alla consumazione. Giova precisare, che all’epoca dei fatti l’aggravante organizzativa è stata introdotta dall’art. 30 co. 5 L. 24 dicembre 2020, n. 1672.

[2] L’ordinamento penale francese mantiene la tradizionale tripartizione napoleonica tra crimini, reati e contravvenzioni.

[3] Per approfondimenti sul sistema misto e sulla dinamica del suo funzionamento, si può consigliare R. Paritoz, Procédure pénale, Parigi, 2024, pp. 201ss; J. Pradel, Le juge d’instruction, Parigi, 1997. Come opera di taglio più divulgativo, è utile il testo R. Van Ruymbeke, Le Juge d’instruction, Parigi, 2008, in cui il giudice istruttore forse più famoso della recente storia giudiziaria francese racconta ad un pubblico più vasto le caratteristiche della propria funzione.

[4] Ci si riferisce al torno di tempo compreso tra la L. 18 giugno 1955, n. 517 che ha introdotto alcune garanzie difensive nell’istruzione (formale) e l’entrata in vigore del Codice di procedura penale vigente. Su questi temi, per una prospettiva storica, cfr. L. Garlati (a cura di), L’inconscio inquisitorio. L’eredità del Codice Rocco nella cultura processualpenalistica italiana, Milano, 2010 e, per una visione in “presa diretta”, F. Cordero, Procedura penale, Milano, 1979, pp. 432-466

[5] Tale immunità è estesa ad ogni forma di privazione della libertà personale, che deve essere autorizzata dall’Ufficio di presidenza dell’assemblea di cui fa parte, salvo che si tratti di un crimine, o di un reato rispetto al quale il parlamentare è in stato di flagranza, o di eseguire una condanna passata in giudicato (co. 2). Tutte le pene restrittive della libertà personale possono, inoltre, essere sospese per il tempo in cui il parlamentare esercita la propria carica, su richiesta dell’assemblea (co. 3 e co. 4).

[6] Sentenza del 25 aprile 2024, imp. Fillon

[7] Rimangono, come uniche cause personali di esenzione della punibilità, quelle di cui beneficiano i ministri nell’esercizio delle loro funzioni, soggette alla giurisdizione di un’apposita Corte di giustizia, con funzioni analoghe a quelle del nostro Tribunale dei ministri, e quelle che si riferiscono ai soggetti non imputabili per infermità di mente o età, in Francia fissata nel compimento dei 13 anni.

[8] Queste cadenze argomentative potrebbero suscitare qualche perplessità nel lettore italiano, abituato a prendere molto sul serio il dato testuale delle disposizioni incriminatrici. Sul piano sostanziale, comunque, il principio secondo cui il parlamentare è qualificabile come pubblico ufficiale è consolidato anche nella nostra giurisprudenza. Di recente, Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2023, imp. Volontè, n. 28227, Rv. 284919, su cui S. Manacorda, Una “atipica ipotesi di corruzione internazionale approda in Cassazione: la lettura in filigrana dell’art. 322-bis c.p. attraverso la corruzione del parlamentare, in Cassazione penale, 2023, 12, 2, pp. 4026ss., secondo cui «l’attività del parlamentare italiano che, in rappresentanza della propria Camera di appartenenza, sia membro dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa è qualificabile come attività svolta da un pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 cod. pen. per l’esercizio della funzione legislativa e di indirizzo politico o, quanto meno, da un incaricato di pubblico servizio a mente dell’art. 358 cod. pen. per lo svolgimento di compiti di rilevanza pubblicistica. (Fattispecie in tema di corruzione funzionale dichiarata prescritta in appello in cui la Corte, agli effetti della confisca del prezzo del reato, ha escluso che la rilevanza penale della condotta ascritta al parlamentare derivasse dall’inserimento del comma n. 5-quater in seno all’art. 322-bis cod. pen. ad opera della legge n. 9 gennaio 2019, n. 2, la quale ha esteso la punibilità ai componenti dei consessi internazionali in tale norma contemplati, diversi dagli agenti pubblici “nazionali”). Tale pronuncia ha consolidato un principio già espresso da Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 2017, n. 36769, imp. P.M. in proc. Volontè, Rv. 270440, su cui A. Chibelli, Al vaglio della Cassazione (per la prima volta) la figura della corruzione del parlamentare, in Diritto penale contemporaneo, 26 ottobre 2017.

 

[9] Nel nostro ordinamento, invece, l’unica funzione normativamente attribuita alla pena è quella di tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 co. 3 Cost.) e l’art. 133 c.p., riferendosi alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del colpevole, vieta al giudice qualsiasi considerazione di prevenzione generale. Si tratta di una posizione indubbiamente più avanzata sul piano della civiltà giuridica, che rinuncia rispetto alla quale è sufficiente richiamare G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, Milano, 2024, pp. 19ss. e 822ss. in cui si ricostruisce lo (scarso) dibattito giurisprudenziale sul tema, chiarendo che, ed è utile riportarlo «dal principio della dignità dell’uomo discende […] il divieto di ridurre l’uomo a semplice mezzo per il perseguimento di finalità politico-criminali: di qui l’illegittimità di autonome considerazioni di prevenzione generale – in malam partem – ad opera del giudice. D’altro canto, già lo stesso divieto di qualsiasi forma di responsabilità per fatto altrui […] sarebbe violato da un inasprimento di pena […] ispirato a considerazioni generalpreventive: così procedendo, infatti, il giudice chiamerebbe il condannato a rispondere della circostanza che altri soggetti abbiano commesso reati dello stesso tipo in numero particolarmente elevato, e appaia quindi, opportuno, per tenere a freno le inclinazioni criminose dei terzi, statuire un esempio».

[10] Si tenga presente, a tal proposito, che i criteri molto ampi a cui il giudice deve ispirarsi per la determinazione della pena spiegano le ragioni per cui la motivazione si diffonda anche su circostanze di fatto molto lontane nel tempo e non oggetto di stretta contestazione nel giudizio, in quanto necessari a modulare il carico sanzionatorio in ragione degli indicatori già sopra ricordati.