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  Recensione  
11 Aprile 2025


Recensione a: L. Carraro, L’abrogazione dell'abuso di ufficio: la tutela penale dall’arbitrio pubblico dopo la c.d. Riforma Nordio

L. Carraro, L’abrogazione dell'abuso di ufficio: la tutela penale dall’arbitrio pubblico dopo la c.d. Riforma Nordio, Pisa University Press, Pisa, 2025, 316 pagg



1. La recente abrogazione dell’art. 323 c.p. in tema di abuso d’ufficio, accompagnata dalla pressoché coeva introduzione di un delitto di nuovo conio (l’art. 314-bis c.p.) e dal rimaneggiamento dell’art. 346-bis c.p. in tema di traffico di influenze, ha fatto emergere numerosi e complessi interrogativi penalistici.

Il volume di Luca Carraro si inserisce, pertanto, nell’acceso dibattito che ha accompagnato le sorti dell’abuso d’ufficio sino all’epilogo dell’agosto 2024: privilegiando la prospettiva della tutela del cittadino dall’arbitrio del pubblico agente, la ricerca si articola lungo molteplici piani di indagine de iure condito, per approdare ad alcune possibili soluzioni da inserire – sinergicamente e de iure condendo – in un più ampio e meditato intervento legislativo.

Non si tratta solo di esaminare “archeologicamente” una fattispecie di reato ormai – in tutto o in parte – abolita e superata, ma anche e soprattutto di comprendere quale sia l’attuale scenario normativo, dottrinale e giurisprudenziale nella delicata materia della tutela penale dall’arbitrio pubblico: dalle ipotesi del favoritismo affaristico allo sfruttamento privato del pubblico ufficio o servizio, sino ai casi di vera e propria prevaricazione[1].

A ben vedere, non si è solo in presenza di un argomento puramente penalistico, di per sé estremamente ampio e interessante, ma anche di un tema pubblicistico più complesso, vale a dire la tutela del privato dagli abusi del “pubblico”, nonché gli equilibri tra più poteri dello Stato, stante il sindacato dell’autorità giurisdizionale sull’operato del potere esecutivo e delle autorità amministrative.

 

2. Il primo capitolo del libro è dedicato a L’abuso d’ufficio in prospettiva sovranazionale e comparata: dopo avere esplicitato la prospettiva d’analisi seguita, l’Autore esamina analiticamente la nuova proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione e le indicazioni provenienti dalla “Convenzione di Merida” del 2003[2] (essendosi il recente dialogo parlamentare appuntato in via prioritaria intorno a questi “parametri sovranazionali”), senza trascurare di dedicare un pertinente approfondimento anche alla Direttiva 2017/1371 del 5 luglio 2017 (direttiva “PIF”) – che verrà poi ripresa dall’Autore nelle argomentazioni finali del capitolo 3° – onde rintracciare la reale sussistenza e il perimetro di eventuali obblighi internazionali di criminalizzazione.

L’indagine prosegue volgendo lo sguardo ad altri ordinamenti e, dopo un’ampia disamina comparatistica afferente al diritto penale austriaco, tedesco, francese e inglese, vengono svolte alcune considerazioni interlocutorie in merito allo status quaestionis nazionale e internazionale: dalle stesse emerge, da un lato, che tutti i sistemi legali presi in considerazione prevedono come penalmente rilevanti, articolandole in una pluralità di fattispecie, le condotte di abuso dei poteri inerenti ad un ufficio o servizio pubblico; dall’altro lato, che, all’interno di questi ordinamenti, non sempre la formulazione di tali fattispecie risulta del tutto conforme ai canoni di determinatezza e di offensività.

 

3. Il secondo capitolo contiene una prima parte su Le tormentate sorti dell’abuso d’ufficio, dall’originaria formulazione del 1930, alle riforme del 1990 e del 1997, sino all’ennesima riscrittura del 2020, finalizzata a ridurre il fenomeno della c.d. “paura della firma” o della “burocrazia difensiva”. L’indagine, in tal caso, si rivela funzionale a far emergere i punti di frizione interpretativa che hanno mostrato maggiore “resilienza”, resistendo alle innumerevoli formulazioni legislative e ponendosi quindi alla base della scelta abrogativa.

All’esito della lunga parabola normativa e prasseologica, è infatti possibile osservare come la novella del 2020 abbia, da ultimo, avuto lo scopo di espellere dall’area del penalmente rilevante, inter alia, i casi di provvedimento strettamente discrezionale, nonché le pure violazioni di regolamento.

Sul punto, l’Autore riporta e condivide alcune ricostruzioni critiche del nuovo dettato normativo ex art. 323 c.p. “pre-abrogazione”: vi sono casi, infatti, nei quali gli abusi d’ufficio più odiosi si annidano proprio ed esattamente nell’esercizio arbitrario e immotivato della discrezionalità amministrativa; inoltre, l’eliminazione del riferimento alla “violazione di regolamenti” non appare scevra da criticità, in quanto spesso sono proprio i regolamenti a rendere più specifica e dettagliata la regola che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio è, poi, chiamato concretamente a rispettare nell’esercizio delle sue funzioni.

Inoltre, si osserva nel testo, appare singolare e frutto di una asimmetria normativa che nell’“ultimo” art. 323 c.p. (formulazione post 2020) venisse meglio perimetrata e descritta l’ipotesi dell’esercizio abusivo di poteri, lasciando invece invariata la scarna formulazione normativa rispetto all’ipotesi di “omessa astensione”.

Infine, giungendo all’ultimo capitolo del così chiamato “valzer dell’abuso d’ufficio”, l’Autore esplicita come l’abrogazione in toto dell’art. 323 c.p. potrebbe determinare non pochi effetti paradossali, nella misura in cui il vuoto generato dalla stessa sia suscettibile di essere colmato espandendo, in via collaterale e pretoria, l’area di punibilità ex artt. 314 e 328 c.p.

Analoghe considerazioni critiche vengono spese dall’Autore in merito al rimaneggiamento del delitto di traffico illecito di influenze ex art. 346-bis c.p. ad opera del legislatore del 2024: la disposizione novellata appare, infatti, di ardua e remota applicazione, oltre che potenzialmente illegittima dal punto di vista costituzionale, dischiudendosi così la possibilità che, in futuro, anche tale delitto subisca la stessa sorte dell’abrogato abuso d’ufficio.

 

4. Il terzo capitolo è interamente dedicato alla nuova figura delittuosa dell’Indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all’art. 314-bis c.p., introdotto ad opera del d.l. 4 luglio 2024, n. 92.

Dopo avere analizzato l’articolato iter legislativo che, nel volgere di poche settimane, ha condotto all’abrogazione dell’art. 323 c.p. e alla “creazione” dell’art. 314-bis c.p., Luca Carraro esamina attentamente i singoli elementi costitutivi del nuovo reato, risultante dalla parziale “ibridazione” di elementi provenienti dal previgente abuso d’ufficio e dal tradizionale delitto di peculato.

Il dubbio che l’Autore si trova ad affrontare è se il nuovo art. 314-bis c.p. si limiti a incriminare parzialmente i fatti di c.d. “distrazione non appropriativa” sino ad oggi ritenuti punibili in forza dell’art. 323 c.p., o se esso contribuisca altresì a “erodere” parte dell’area applicativa ex art. 314 c.p., sottoponendo al leviore trattamento sanzionatorio ex art. 314-bis c.p. anche quei fatti di distrazione appropriativa sinora sussunti dalla giurisprudenza pressoché granitica all’interno dell’art. 314 c.p.

A fronte di un vivace e autorevole dibattito dottrinale, la tesi ritenuta più convincente è quella – peraltro di recente avallata dalla Suprema Corte con la sentenza 23 ottobre 2024, n. 4520 (dep. 4 febbraio 2025) – per la quale il nuovo art. 314-bis c.p. si attaglierebbe alle sole distrazioni non appropriative, mentre le distrazioni appropriative, pur dopo la novella del 2024, continuerebbero a soggiacere al più rigoroso trattamento sanzionatorio in tema di peculato ex art. 314 c.p.

Inoltre, “incrociando” il fuoco di tipicità degli artt. 314 e 314-bis c.p. oggi vigenti, a seguito dell’abrogazione dell’art. 323 c.p., l’Autore segnala l’intervenuta non punibilità delle distrazioni non appropriative:

i) aventi ad oggetto beni immobili;

ii) aventi ad oggetto energie lavorative;

iii) perpetrate in violazione di disposizioni primarie non specifiche;

iv) perpetrate in violazione di disposizioni sub-primarie (regolamenti amministrativi e circolari in specie), salvo ricorrere allo schema della “eterointegrazione normativa” sperimentato dalla giurisprudenza negli ultimi anni di vita dell’abuso d’ufficio;

v) perpetrate in violazione di disposizioni afferenti ad aree di attività discrezionale della pubblica amministrazione, «salvo voler rinverdire la distinzione tra superamento dei limiti interni o dei limiti esterni emersa nel formante giurisprudenziale».

Il terzo capitolo si chiude, a valle del complesso tema di diritto intertemporale, con l’analisi di alcune importanti e molto recenti ordinanze di rimessione di alcuni giudici di merito, i quali hanno sollevato innanzi alla Corte costituzionale numerose questioni di legittimità connesse all’abrogazione dell’art. 323 c.p. e alle coeve riforme legislative.

 

5. Il capitolo quarto del libro, intitolato À Rebours, riesamina dialetticamente le ragioni addotte pro abrogatione dell’abuso d’ufficio, e in particolare: la “paura della firma” e la “burocrazia difensiva”, il numero esiguo di condanne rispetto al numero di azioni penali esercitate, l’abuso d’ufficio come “fattispecie spia” di altri fatti illeciti e l’argomento dei c.d. “presidi extrapenali”.

Il bilancio è, sul punto, altamente problematico: da un lato, afferma l’Autore, alcuni problemi interpretativi e applicativi – pur oggettivamente esistenti – non trovavano direttamente la loro “eziopatologia” di fondo nell’art. 323 c.p., ma in altri fattori collaterali.

Dall’altro lato, «la cura somministrata si è rivelata tutt’altro che idonea a stabilizzare la situazione dei “pazienti” (la p.a. e i cittadini). Ed ha continuato a non esserlo anche quando, entrando nel “concreto farsi del trattamento”, le “specificità del caso concreto” hanno disvelato la necessità di aggiustare la “terapia”, inserendo il nuovo art. 314-bis c.p.: un “farmaco” comunque troppo debole per coprire i vuoti lasciati dall’abrogazione».

La parte finale del libro è destinata a dipingere Il volto attuale del presidio penale contro gli abusi del pubblico funzionario, esponendo alcune alternative allo status quo attualmente prospettabili, anche alla luce delle autorevoli proposte esaminate analiticamente dall’Autore.

A giudizio di Luca Carraro, l’abrogazione in toto dell’art. 323 c.p., non accompagnata da adeguate misure legislative di contrappeso, «si rivelerà: (i) dannosa per l’intero sistema dei reati contro la pubblica amministrazione, (ii) non necessaria e, soprattutto, (iii) non sufficiente a raggiungere gli obiettivi avuti di mira dal legislatore, oltre che (iv) foriera di vuoti di tutela, quantomeno sotto il profilo delle sopra dette forme di prevaricazione».

Pur non contestando che, nel corso degli ultimi decenni, l’applicazione dell’art. 323 c.p. da parte della giurisprudenza abbia seguìto percorsi ermeneutici non sempre convincenti e talvolta persino discutibili, l’Autore ritiene che le riforme del 2024 non abbiano permesso di raggiungere un nuova e stabile “piattaforma normativa” che possa dirsi risolutiva dei problemi in essere; le ultime pagine del libro sono, dunque, destinate a due possibili proposte di pars construens e de iure condendo, volte a rimediare alle aporie e ai limiti delle recenti riforme in subiecta materia, nella consapevolezza della necessità di un intervento legislativo di più ampio respiro che trascenda il piano strettamente penalistico.

 

 

 

[1] Si tratta delle tre “figure” di esercizio dell’arbitrio pubblico individuate nel c.d. “progetto Morbidelli”, predisposto dalla commissione istituita dal Ministro della Giustizia nel febbraio del 1996. Il progetto prevedeva, in particolare, l’introduzione di tre nuovi reati: la prevaricazione ex art. 323 c.p., il favoritismo affaristico ex art. 323-bis c.p. e lo sfruttamento privato dell’ufficio ex art. 323-ter c.p.

[2] Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 31 ottobre 2003, ratificata in Italia con L. 3 agosto 2009, n. 116.