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25 Ottobre 2024


Sull'esistenza di un obbligo internazionale di mantenere il reato di abuso d'ufficio: dal Tribunale di Busto Arsizio una nuova ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale

Trib. Busto Arsizio, ord. 21.10.2024, Pres. Fazio, Giud. Ferrazzi e Montanari



Segnaliamo ai lettori, per l'interesse, l'ordinanza del Tribunale di Busto Arsizio, che può leggersi in allegato, con la quale viene rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della norma che ha abrogato ll'art. 323 c.p. (art. 1, co. 1, lett. b) della l. 9 agosto 2024, n. 114). Si tratta, dopo le due ordinanze del Tribunale di Firenze (clicca qui e qui) e dopo l'ordinanza del Tribunale di Locri, della quarta ordinanza che ha rimesso alla Consulta il sindacato sulla scelta di abolire il delitto di abuso d'ufficio.

La questione è stata prospettata dalla Procura nell'ambito di un processo noto come "Piazza pulita bis" e si riferisce ad imputazioni relative a consulenze e incarichi dirigenziali conferiti da parte di funzionari pubblici in violazione dell'obbligo di astensione in presenza di conflitto di interessi.

Richiamando la sentenza n. 8/2022 della Corte costituzionale, il Tribunale ha anzitutto ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., perché precluse dal divieto di sindacato della legge penale con effetti in malam partem. Per contro, richiamando la giurisprudenza della Consulta, che ammette una deroga a tale divieto in presenza di obblighi internazionali di incriminazione, il Tribunale ha ritenuto ammissibile e non manifestamente infondata la questione in rapporto agli artt. 11 e 117 Cost.

Lo sforzo argomentativo dell'ordinanza in commento, che tiene conto delle altre precedenti sopra richiamate e di quella del Tribunale di Reggio Emilia, che invece nella vicenda di Bibbiano ha rigettato la richiesta della locale Procura della Repubblica, è volto a sostenere e a sviluppare la tesi secondo cui dalla Convenzione ONU di Merida discenderebbe un obbligo internazionale di "stand still" o un "divieto di regresso", cioè di fare un passo indietro rispetto all'incriminazione dell'abuso d'ufficio che era presente nalla legislazione italiana al momento della sottoscrizione della Convenzione. Secondo l'ordinanza, la criminalizzazione dell'abuso d'ufficio rappresenta uno standard minimo di tutela posto dalla Convenzione di Merida, che non può essere derogato senza rendere l'assetto di disciplina dell'ordinamento interno incompatibile con quello convenzionale. 

L'art. 19 della Convenzione di Merida, con l'espressione "shall consider adopting", configura per il Tribunale di Busto Arsizio un obbligo di natura "intermedia" che ha come destinatari gli Stati che, al momento della stipula della Convenzione, non avessero già introdotto negli ordinamenti nazionali il reato di abuso d'ufficio. "Gli Stati (come l'Italia) che già avevano nel loro ordinamento un simile illecito penale erano perfettamente adempienti all'obbligo convenzionale. Per gli stessi, tuttavia, permane l'obbligo di rispettare gli standard minimi di tutela - non derogabili - previsti dal combinato disposto di cui agli artt. 65 co. 2, 7 co. 4 e 1 della Convenzione di Merida, nonché dai paragrafi 21 e 179 delle Legislative Guide, standard minimi di tutela tra i quali è compreso quello di mantenere la criminalizzazione del reato di abuso d'ufficio. La violazione di tale obbligo convenzionale comporta la violazione di quello che correttamente è stato chiamato "divieto di regresso", da intendersi come violazione di uno specifico obbligo convenzionale posto da specifiche norme di un trattato internazionale"